L’ansia di Elisa
agosto 30, 2017 § 2 commenti
Questa volta è diverso, non ho più i capelli raccolti in una lunga treccia nera, ne ho il mio zaino rosso in spalla … è un altro tipo di viaggio.
Lasciata la mia piccola Viareggio, lasciata la mia amata Roma eccomi seduta accanto al finestrino dell’aereo cercando di scoprire con lo sguardo, le terre che si intravedono sotto una mare fantastico di nuvole, tra poco scenderò a Dubai.
Non ho lo zaino, non ho 30 anni, ma mi sento in trepidazione quasi ne avessi 20 …
Mi torna in mente un vecchio film con Sordi e la Cardinale .
Una volta si scrivevano lettere appassionate che arrivavano fino in Australia e poi c’erano le foto tessera, e poi c’era l’ incontro … adesso c’è il web con la sua faccia intrigante.
…e se non ti piacessi? Lo sai che ho “gli occhi a palla, il naso a ciabatta e le gambe a merlo” come diceva il mio ex marito?
…e se non ti piacessi? Lo sai che sullo space le mie foto sono modificate con un programmino e risulto molto meglio di quello che sono in realtà?
…e se non ti piacessi? Lo sai che non so nuotare?
e se non ti piacessi … resterebbe la stima, la simpatia e il piacere di bere insieme un buon caffè …
Non sono affatto tranquilla, quando mi passo la mano tra i capelli è brutto segno … ma poi mi rassereno … ho trovato la chiave: essere soltanto me stessa.
E’ il momento di allacciarsi le cinture, l’aereo inizia le manovre per l’atterraggio … tra poco ti vedrò, ne sono felice … e tu mi sorriderai …
Forse è solo una fuga ma non dal mio ex ma da me stessa e dalla mia vita
Elisa
Foto da web
Sonia
febbraio 5, 2017 § 6 commenti
voleva essere ascoltata
Praticamente lo conosco da sempre . Io andavo alle elementari e lui alle medie, lo guardavo passare aspettando che mi degnasse di uno sguardo ma per lui ero come trasparente. Passato qualche anno , sono riuscita ad entrare nella sua compagnia , lui non era molto espansivo con me ma rispondeva alle mie domande ed era gentile.
Quando mi sorrideva sentivo una morsa stingermi lo stomaco, come quando lo vedevo con qualcuna. Lui aveva sempre una ragazza nuova , le frequentava pochi giorni , poi se ne allontanava , qualcuna rimaneva nell’orbita , usciva con qualche altro ragazzo della compagnia , altre svanivano come comete. Lui mi faceva piccole delicatezze, io mi illudevo che prima o poi si sarebbe avvicinato con i suoi occhi verdi e avrebbe posato le sue labbra sulle mie. La cosa durava poco ed arrivava con una nuova ragazza e le mie illusioni si frantumavano graffiandomi il cuore. I ragazzi avevano preso in affitto un vecchio appartamento dove si radunavano , suonavano , facevano all’amore. Vi erano solo i mobili essenziali. Vecchi tappeti e cuscini di tutti i tipi , sparsi da tutte le parti, una delle stanze era senza finestre e Rebecca ne aveva dipinto una grande con un cielo azzurro con nuvole lontane , uno stormo di gabbiani e da un lato un rampicante che sembrava invadere la stanza, mi piaceva molto quell’affresco come del resto anche Rebecca. Lei era apparsa al suo fianco , alta bionda , spavalda, frequentava il liceo artistico ed era brava con pennelli e colori. La loro relazione era durata un mese , giusto il tempo per finire l’affresco, poi era finita in una lite alla quale io avevo assistito non vista . Rebecca a voce alta chiedeva spiegazioni: “quando sei con gli altri non mi consideri” e ancora “devi scegliere o me o i tuoi amici “ . Non sentivo risposte ma lei perentoria “ se esco da quella porta non mi vedi più” . Allora sentii la sua risposta” quando te ne vai ..chiudi la porta”. Ecco lui è fatto così. Io quel giorno avevo trovato il coraggio , non si era ancora chetato l’eco delle parole di Rebecca che con uno smagliante sorriso ero entrata nella stanza e con fare indifferente ho cercato di approfittare della situazione: “ho incontrato Rebecca che usciva , mi sembrava furiosa”
Lui “ ci siamo lasciati “ e io facendo ricorso a tutto il mio coraggio “ perché non ci mettiamo insieme noi?” . Il cuore era impazzito , lo vedo mentre si alza e mi viene incontro ,la sua mano che mi accarezza , sento ancora la sua voce “non voglio farti del male” e il rombo del mio castello che crollava. Lui non me lo ha mai fatto pesare, non ne abbiamo parlato per anni. Rebecca , non era sparita era rimasta e sembrava volergliela far pagare, usciva con un suo amico e facevano vita ritirata e non era più cosi spavalda.
Io ho raccolto i cocci del mio cuore e sono rimasta nella sua ombra.
Con il tempo ci siamo allontanati ma mai persi .
Un giorno ci siamo incontrati ,Lui era sposato con figli, io uscivo con una persona che credevo sarebbe stata il mio futuro. Dopo aver ricordato i vecchi tempi ho visto i suoi occhi diventare tristi ,duri e dopo un silenzio pesante come un macigno “Stai attenta ,ti sei messa con un bastardo”.
Io non lo avevo mai visto così, rimasi senza parole mentre lui se ne andava , avrei voluto dirgli che ero in ritardo di tre settimane e che quello che Lui aveva chiamato bastardo sarebbe stato il padre dei miei figli.
Il suo avvertimento mi aveva dato da pensare e feci delle indagini. Il bastardo era sposato e aveva una figlia , mi aveva abilmente nascosto tutto , poi tutti i nodi erano venuti al pettine , mi aveva confessato tutto , mi aveva chiesto di abortire , mi aveva chiesto di non dire niente a sua moglie…che bastardo.
Ho avuto uno splendido bambino e ho incominciato a tirarlo su aiutata dai miei a causa del mio lavoro precario. Dopo un paio di anni dal nostro ultimo incontro l’ho rivisto, gli ho mostrato orgogliosa il mio bambino e ho incominciato a raccontargli tutte le scoperte del mio bimbo, Lui è uno che sa ascoltare, gli ho raccontato le mie difficoltà ,mi ha aiutato a portare in casa il passeggino e io ho messo su il caffè , mi sentivo a mio agio .
Lui ha fatto una telefonata e mi ha detto di presentarmi ad una ditta per un lavoro, ed io non so se per il lavoro o perché era tanto che volevo farlo , l’ho baciato ..ha esitato un attimo poi abbiamo fatto l’amore . Lui stava via qualche settimana poi si presentava per qualche ora ed io ero felice , il lavoro andava bene , la vita correva soffice ed avevo Lui anche se in comproprietà. Dopo qualche periodo la cosa mi andava stretta , volevo di più, lo volevo solo per me ma non sapevo come iniziare il discorso . Un giorno ho incontrato un suo amico , quasi un fratello per Lui, ho preso il coraggio a due mani per chiedere il suo aiuto. Questo suo amico non ne sapeva niente della nostra relazione ma dopo avermi ascoltato mi ha detto chiaramente “non metterlo in condizioni di dover scegliere, se vuoi troncare diglielo tranquillamente ma non dargli ultimatum”.
Quando può Lui si fa vedere , non mi ha mai chiesto niente , io ho avuto le mie storie , le mie menate , quando è con me io dimentico tutto ,gli racconto tutte le mie cose , gli racconto di mio figlio , le sue fidanzatine , gli esami all’università .
Lui sa fare all’amore, mi sa far ridere e mi sa ascoltare …
Marilù
luglio 23, 2012 § 20 commenti
Marilù Un matrimonio imperfetto
Caro Mario, non so se farai come con molte delle altre lettere che a suo tempo negli ultimi dieci anni del nostro ventennale matrimonio, ho avuto bisogno di scriverti: lettere che contenevano le “mie ragioni” nei tuoi confronti e che ti mandavo sperando in un dialogo, un confronto in cui ognuno dei due, facendo sue anche le ragioni dell’altro, si mostrasse desideroso e capace di trovare una sintesi soddisfacente per entrambi. Forse butterai anche questa come tutte le altre. Pazienza. Sappi almeno, se riuscirai ad arrivare sin qui, che il decidermi a scriverti contiene una cosa importante: uno scatto di ribellione alla rassegnazione che, come ben sai, non è un sentimento positivo con il quale convivere e far convivere gli altri.
Mi spiace, perché vedo che non stai bene, combatti in silenzio contro una serpeggiante depressione alla quale non sei abituato a dare parole per farti davvero aiutare. Chissà, forse per come sei fatto, non vuoi neanche riconoscerla.
Vorrei. Vorrei che insieme fossimo capaci di uscire dal tunnel che è tuo, ma che è mio persino da un numero maggiore di anni. Vorrei che le “parole fossero fra noi leggere” (non mi ricordo chi l’ha scritto), e che riuscissimo a vivere anche la vita con maggiore leggerezza. Vorrei che fossimo capaci di desiderare ancora un po’ di felicità, di gioco e di spensieratezza: la vita come la sto e la stiamo vivendo insieme da un bel po’ di anni, mi è diventata pesante, e non mi piace accettarla così, senza far niente per migliorarla un po’.
Vorrei non combattere con te su qualsiasi argomento: E questo significa che vorrei che tu fossi più rilassato e non perennemente in guardia.
Vorrei che questo tempo, il tempo della nostra pensione / come continua a sembrarmi brutta questa parola / un tempo che tutti e due cerchiamo un po’ nevroticamente di riempire, terrorizzati dalla paura del vuoto, fosse anche un tempo di “servizio” l’uno nei confronti dell’altro.
Vorrei che tu provassi piacere ad aiutarmi. Vorrei che invece di soffrire e sentirti così spesso offeso, solo e non capito, tu ti vedessi dall’altra parte dello specchio e riuscissi a ridere un po di te.
Vorrei che tu ogni tanto mi chiedessi scusa. Scusa per non avermi vista, non avermi aiutata al momento giusto, non essermi stato vicino come e quando mi sarebbe servito da morire, non avermi fatto piangere fino a non poterne più sulla tua spalla quando ne avrei avuto bisogno, e ridere in un momento successivo. Scusarti per non avermi rispettata, per avermi sempre costretta a fare i conti con il tuo bisogno di affermazione, espressione della tua insicurezza. Vorrei che tu mi chiedessi scusa per pensare così poco al mio piacere di vivere, anche perché non riesci, non sei mai stato capace di pensare al tuo. Vorrei che tu fossi capace di essere, non dico sempre, qualche volta, più generoso nei miei confronti.
Vorrei sentirmi meno sola
Vorrei essere più felice
Non lo sono.
Io non ho più tempo per aspettare. E non ne ho più voglia. Non ho voglia di sopportarti anziché essere felice con te. Non ho più voglia di stare con te e di sforzarmi di capirti e accettarti ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Io sono una persona piena di difetti, lo so. Ma ho bisogno di qualcuno che sorrida con me anche di quelli.
Comincia a pensare a come regolare la situazione. Me ne vado
Maria Pia
luglio 5, 2012 § 28 commenti
Maria Pia Libertà di espressione
Sono un’intellettuale, svolgo un lavoro intellettuale. Tutti i compagni che ho avuto, non tantissimi per la verità, sono stati degli intellettuali, anche quest’ultimo: ha qualche anno più di me, ma non tantissimi come potrebbe sembrare. Perché io, a differenza di lui che non ne ha bisogno – qualche ritocchino ogni tanto, per togliermi qualche anno, l’ho fatto. Per carità, non come le attrici che a cinquanta ne dimostrano trenta: io sono andata da un chirurgo di assoluta fiducia, ci siamo parlati, lui ha capito, e ci siamo accordati per togliermi, come ha detto lui, un po’ di stanchezza dal viso. Così una volta mi ha fatto gli occhi, poi il sottomento, poi ancora i contorni del viso, ma tutto in maniera quasi invisibile, non se n’è accorto nessuno, non l’ho detto a nessuno, neanche al mio compagno: l’unico risultato evidente è il “ma come stai bene” con cui mi accolgono tutti quando mi incontrano a teatro, alle mostre o alla presentazione di un libro. Si insomma, sto bene, nel senso di avere un bell’aspetto, l’aspetto di una che è riuscita a restare giovane, una che può, come io voglio restare “in pista”, continuare a fare il suo lavoro senza essere considerata vecchia e quindi fuori dal gioco. Come? Un’intellettuale non dovrebbe avere bisogno di questo? Ma chi l’ha detto?
Prima di decidere di andare dal chirurgo, ci ho pensato bene, eccome: ma poi ho capito che non c’era scelta, se volevo continuare ad esercitare il mio mestiere di intellettuale e vedermi riconosciuto il diritto ad esprimermi non c’era che il mio amico chirurgo. Ho sofferto un po’, ho speso un mucchio di soldi, ma ne valeva la pena.
Elena
giugno 13, 2012 § 21 commenti
Piccola serie di Racconti di: “Donne si raccontano”
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Elena Fare e disfare
Fare. Sono stanca di fare: fai un caffè, non ti preoccupare faccio io, devo fare perché gli altri non fanno, faccio perché è necessario, forse perché mi è necessario, perché mi invento continuamente ragioni o scuse per il mio fare fare fare, perché in realtà non so vivere senza fare. Fare è il mio destino e la mia dannazione. E dentro in fondo allo stomaco, al cuore, alla pancia, ho un dolore fisso, come un crampo, che ogni tanto mi fa vomitare una lacrima, o tante lacrime, un diluvio: perché vorrei non fare, vorrei solo pensare, pensare a me, vorrei che gli altri non fossero un servizio perenne da adempiere, ma un pensiero che mi riporti a me stessa.
Perché sei triste? Che hai? Niente, rispondo quasi sempre. Via le lacrime, il crampo allo stomaco, e ricomincio: faccio. Annaffio le rose sennò muoiono, riordino i vestiti sennò c’è disordine, cucino sennò che si mangia, metto la carne nel freezer con il bigliettino sopra che indica di che si tratta, sennò va a male, tolgo la carne dal freezer la sera per il giorno dopo sennò non si può cucinare, apparecchio la tavola perché è più bella una tavola apparecchiata, rispondo al telefono al posto di tutti, che chissà perché sono sempre lontani e non sentono, faccio il cambio degli armadi.
E poi lavoro fuori casa: uno, due, tre lavori diversi. Faccio perché, mi dico, gli altri hanno bisogno di me, ma forse sono io che ho bisogno degli altri. E lavoro, lavoro, lavoro con o senza remunerazione. In casa o fuori casa lavoro quasi sempre a cose che in sé non mi piacciono e non mi interessano: bisogna fare, bisogna farlo. Perché? Delle giustificazioni, certo, me le do: i soldi da guadagnare o da risparmiare, i rapporti che bisogna conservare, gli appuntamenti che non possono e non devono essere rimandati, gli affetti da curare. E poi chissà: da un lavoro che non mi piace e non mi interessa, magari, mi dico, salta fuori un’altra cosa che potrebbe soddisfarmi. Oggi non va, ma domani….Domani, certo. Per adesso, per oggi, faccio. E non mi piace.
Guardo gli altri che non fanno, e li odio. Coltivo, sempre lì in fondo a non so dove, un antico e sedimentato rancore: io faccio e loro non fanno: loro dormono, pensano, dicono, mi dicono, e io faccio. E così come sembra (sembra) naturale a me, sembra anche a loro, agli altri, a tutti gli altri: fai un caffè, fai due fili di pasta, fai una telefonata, due telefonate, tre, ricordati di dire al tizio di scrivere a caio, fai. E io faccio. Sdoppiandomi: metà mia madre che ha vissuto sempre e solo per il fare, metà mio padre che ha vissuto sempre e solo per il pensare, ascoltare, leggere: metà verso una corsa dopo l’altra, tante cose insieme non si sa perché, metà verso la lentezza; metà realizzazione e metà riflessione, voglia di farla finita con le cose e privilegiare il pensiero.
Chissà, forse per eliminare il fare dalla mia vita, dovrei eliminare gli altri: gli altri, l’altro, un altro o un’altra accanto a me, e subito scatta in me la molla del “cosa c’è da fare?”, “cosa posso fare per te?”. Forse dovrei stare da sola: e da quando la penso, anche senza pronunciarla, la parola solitudine mi dà la stessa fitta dolorosa del pensiero del non fare. Forse quando non ci sarò più tutti, o comunque quei pochi, mi ricorderanno per quel tanto che ho fatto, sempre, fino alla fine. Senza sapere che non lo volevo fare, che volevo essere altro da quello che sono effettivamente stata. Sono stata laboriosa, efficiente, rapida, piena di amici o almeno di buoni conoscenti, una donna di relazioni, come si dice. E avrei voluto essere, ma non sono stata capace di esserlo, chiusa nei miei pensieri, creativa per me, intollerante, selettiva, concentrata su me stessa, e quindi dura, cattiva con chi rubava il mio tempo e i miei pensieri. E invece, siccome i fatti contano, eccome se contano, molto di più dei pensieri e anche delle parole, la mia vita è stata questa. Fare
Valentina 2°
giugno 9, 2012 § 19 commenti
Valentina Almost fetish
parte seconda
“Ma guarda dove vai, cretino!” I pensieri di Valentina si erano interrotti seccamente: qualcuno l’aveva urtata all’uscita, forse inavvertitamente, ma la brusca lacerazione dei suoi margini di sogno le avevano procurato una reazione violenta.
“Mi scusi signorina…stavo guardando da un’altra parte…”
“Scusi lei” pentita, aveva abbassato subito la guardia “ero anch’io soprappensiero…” era un bellissimo ragazzo, alto, moro, occhi verdi grandi…sorrideva leggermente imbarazzato. Che bella voce! Calda, calma…e sensuale!
“Le posso offrire qualcosa? Vorrei…non fraintenda, la prego…solo un caffè, a titolo di pacificazione…ho necessità di interrompere questi ritmi convulsi…tutti i giorni sempre e solo di corsa!”
Valentina era lusingata, incuriosita…”Ma che ti prende?” pensò “Uno sconosciuto…sì, ma è un caffè, cavolo, non ci devi mica andare a letto…ma che ti metti a pensare?”
“Va bene…io sono Valentina…piacere…vada per un caffè!”
“Alex, mi chiamo Alex, ci diamo del tu allora, per piacere…va bene quel bar?” indicò il bar di fronte, molto elegante: il bar del centro meglio frequentato ma, soprattutto, facevano un ottimo caffè…e servivano anche degli ottimi pasticcini, sempre freschi.
Pochi minuti e Valentina si ritrovò a conversare con una persona deliziosa: gentile, leggermente audace ma sempre con magnifico tatto, intelligente e pronto alla battuta.
“Sai Valentina, sei la prima persona piacevole che incontro da mesi…le solite frasi che si dicono, penserai…no, è davvero così, nel mio lavoro devi abituarti ad avere rapporti superficiali, rapidi e occasionali…scusa, non volevo imbarazzarti…sono abituato a dire quel che penso…”
“Che mani stupende!” pensava intanto Valentina “Non sei di qui, vero?”
“No, abito qui solo da una settimana, ma sono di un piccolo paese dell’Emilia, in provincia di Reggio…”
“Ti chiedo scusa Alex, ma io sto facendo davvero tardi…forse anche tu…adesso forse faccio la figura della sfacciata, ma mi piacerebbe rivederti…” era rossa in viso, ma ferma nella voce mentre lo diceva. Gli occhi di Alex si illuminarono: “Domani sera? O forse è troppo presto per…” lei lo interruppe…” Ok per domani sera…sì, domani sera va benissimo.”
Per un lungo attimo si guardarono negli occhi, sorridendo…poi si scambiarono i numeri di cellulare. Un po’ formalmente si strinsero la mano…”Ti chiamo io…domani prima di mezzogiorno, ok?” lo diceva mentre si allontanava…e Valentina fece cenno di sì con la testa…poi si girò per restare con se stessa e godersi il sorriso in intimità, un sorriso emozionato…”Mio dio! Perché non vedo già l’ora che sia domani sera?”
Valentina era ridotta ad uno straccio per le emozioni della giornata , non vedeva l’ora di farsi una bella doccia calda, lunga , tonificante.
Arrivata a casa si levò i vestiti lungo il corridoio che portava al bagno, fece scorrere l’acqua e intanto si guardava allo specchio.
Il corpo era tonico , seno alto e rigoglioso , pancia soda ….ripensava alla scena dell’arabo , delle sensazioni che le aveva procurato…entrò nella doccia e l’acqua che scorreva trascinava via il ricordo…ma si aprivano nuovi scenari.. Alex , belle mani , forti , spalle larghe …e il sorriso …si.. il sorriso lo aveva stampato nella mente e stranamente Valentina sentiva i muscoli del suo viso che erano atteggiati a sorriso , anche lei stava sorridendo …la schiuma bianca la copriva ma sotto sorrideva …
Per altri cinque minuti assaporò senza fretta l’acqua calda che scorreva accarezzandole il corpo, lasciando scivolar via la stanchezza di quella giornata; poi si concesse di nuovo all’abbraccio delle bollicine del suo bagnoschiuma. Ad occhi chiusi, con la mente, le mani e il corpo spalancati alle fantasie più audaci, si immaginò che Alex fosse lì: nudi, bagnati e legati in una soffice morsa che li spingeva insieme lungo un lento e stupendo crescendo wagneriano, verso il culmine dell’amplesso più magico della sua vita. D’improvviso si fermò per non oltrepassare il limite dell’immaginazione, e quel fuoco che le aveva infiammato tutto il corpo si estinse lentamente, cedendo ad una curiosa e gradevole sensazione di qualcosa di incompiuto. Finì di risciacquarsi dalla schiuma e uscì dalla doccia, in cinque minuti si asciugò i capelli, si tolse l’accappatoio e si infilò la camicia da notte.
“Ho sonno” pensò, “che giornata! Probabilmente dormirci sopra mi chiarirà le idee.” Si infilò nel letto e spense la luce sul comodino.
Sotto le lenzuola, ancora una volta il pensiero di Alex prese forma: le poche braci residue di quel magico momento sotto la doccia rischiavano di riattizzarsi, come alimentate da un getto di alcool puro…Valentina chiuse gli occhi sorridendo, e spense l’ultima fiamma una volta per tutte, cercando di prender sonno…
Alex si rigirava nel letto. Il gomitolo dei suoi pensieri era piuttosto intricato. Valentina…“E’ la prima volta dopo Francesca che sento un’attrazione così forte” pensava “e così diversa. Un’altra donna nella mia vita, innamorarmi ancora…I segnali ci sono, e sono ben chiari. Beh, sarà meglio che ci dorma sopra: che giornata!”
Sotto le lenzuola il pensiero di Valentina prese forma. Alex chiuse gli occhi sorridendo, sicuro di prendere sonno.
Gli accordi erano stati presi, la voce di Alex al telefono era ancora più sensuale che dal vivo, doveva solo prepararsi per la serata .
Mentre l’ora convenuta si avvicinava Valentina sentiva una leggera ansia che la attanagliava, ma dove era la donna in carriera sicura di se?
Certo non era un incontro d’affari , ma si immaginava gli sviluppi o meglio se li augurava. Rivedeva le sue mani forti ,il suo sorriso.
Alex pensava all’incontro che avrebbe avuto tra poco. Aveva dovuto lavorare fino all’ultimo e ora non aveva più tempo per scaricare le valige del campionario dalla sua station wagon ma non avrebbero certo intralciato il corso della serata , c’era giusto il tempo per una doccia e per cambiarsi .
Valentina osservava il suo volto riflesso nello specchio, il trucco risaltava i suoi occhi, li rendeva luminosi , i capelli erano acconciati splendidamente , le davano un’aria di classe leggermente selvaggia. Indossò un abito color fondo di bosco con un lungo spacco sulla coscia e una scollatura profonda che lasciava intravedere il solco del seno sodo. Calzò le sue nuove Dior che le diedero una carica incredibile . Erano veramente belle e si intonavano perfettamente. Quelle scarpe le davano una sicurezza, una spavalderia, si sentiva padrona di se stessa.
Alex attendeva già sotto il portone di Valentina, cercava di ricordarne le fattezze, ripassava i particolari ma parecchi erano sfuggenti. Il tempo dell’incontro era stato breve e lui era impegnato a mangiarsela con gli occhi piuttosto che a memorizzare i particolari.
Valentina spuntò dal portone si guardava intorno e appena lo inquadrò si diresse verso di lui.
Alex la guardava con ammirazione , era più bella di come se la ricordava , che portamento, che camminata sensuale, certo era stato fortunato ad incontrarla e che lei avesse accettato il suo appuntamento. Era vestita come una indossatrice e il suo pensiero vagò per un attimo
“Spero di non sfigurare con il mio completo formale e camicia bianca “ , poi il suo occhio clinico scese i basso e ammirò le caviglie affusolate e le scarpe , veramente di classe.
Alex scese per aprire la portiera del passeggero , si scambiarono un sorriso smagliante e si sfiorarono le guance.
Valentina salendo notò che nel vano posteriore erano accatastate tutta una serie di valige da campionario.
“Cosa sono?”
“Gli attrezzi del mio lavoro”
Valentina lasciò cadere l’argomento aveva altro a cui pensare.
Gli argomenti a cena scivolarono sugli affetti famigliari , sui viaggi .Valentina era sempre più ammagliata da quel giovane sicuro di se , con idee chiare e razionali
Alex la guardava ammirato , lei aveva un sorriso che lo inebriava si sentiva euforico e non era certo per le 2 dita di vino bevuto , doveva rimanere lucido. Lei era splendida , aveva sempre immaginato di frequentare una splendida donna così, la trovava perfetta.
Mentre sorseggiavano il caffè Valentina chiese:
“Ma tu che lavoro fai?”
“Il rappresentante di scarpe”
“Vuoi dire che tutte quelle valige sono piene di scarpe ?”
“Si , tutta la nuova collezione di Meliani”
Valentina ebbe un tuffo al cuore , senti le farfalle spandersi per lo stomaco, un calore le avvolse la nuca. Si stava innamorando.
Uscirono dal locale si avvicinarono alla macchina . Alex elaborava piani su dove sarebbero potuti andare
Pensava”La porto subito in camera?” “andiamo a bere qualcosa?” “Andiamo a sentire un po’ di musica?”
Valentina interruppe i suoi pensieri: “C’è qualcosa che non va?” “potresti farmi vedere parte della tua collezione?”
“Ma come qui in strada ?”
“Perché no? Sotto a quel lampione andrebbe benissimo”
Alex la guardò ,era magnifica perché non accontentarla? Scelse due valige e le apri. Valentina lo guardava estasiata , controllava le sue movenze , la sua grazia , era affascinata dalla sua disponibilità. La luce del lampione era perfetta , dava un alone che rendeva magico il momento. Mentre estraeva le scarpe e le liberava dal panno che le proteggeva Valentina lo guardava con l’occhio in trance , l’eccitazione la pervadeva si impossessava di lei, le mani erano percorse da un leggero tremito sentiva di non potersi più trattenere . Alex era vicino a lei , le mani si muovevano agili e disponevano le scarpe in ordine come gioielli. Valentina sentiva un groppo alla gola e con voce roca riuscì a produrre qualche parola “posso provarle? “.
Alex con un sorriso fece un cenno di assenso, Valentina si sedette sul muretto dell’aiola , si sfilò il suo paio di Dior e le tenne con 2 dita della mano sinistra . Alex le accarezzo leggermente la caviglia e le infilò uno splendido paio di Meliani fatte a mano. Valentina senti come un fitta , uno spasmo che si protraeva nel basso ventre , si alzò e sentiva le gambe molli . Il cuoio leggero le dava una sensazione di una carezza sensuale sulla pelle si sentiva spossata . In quel momento uno stridio di freni lacerò la notte , le luci bianco blu squarciavano il buio , due poliziotti scesero dall’auto veloci “Cosa succede qui?” . Alex farfugliava qualche scusa senza senso…
Valentina con le sue Dior in mano e le Meliani nei piedi disse:
“Passavo di qui” e si allontanò nella notte.
Fumo bianco…..dissolvenza
The end
Valentina
giugno 8, 2012 § 17 commenti
Valentina Almost fetish
Mani adunche facevano scivolare delicatamente le calze velatissime al reggicalze, un sapiente movimento, e le gambe erano pronte. Valentina si preparava ad uscire, la giornata si prospettava impegnativa: doveva chiudere un grosso affare con una holding di petrolio. Tailleur nero, scuro come la sua faccia concentrata, la grossa borsa porta documenti. Era pronta, uscendo indossa le decolletè nere, a punta, consapevole che deve sembrare molto determinata eppure donna…
Scese in strada, decisa spavalda, un taxi si fermò con uno stridio di freni.
Mentre la macchina si districava nel traffico , la sua mente cercava di prevedere quello che l’aspettava . L’affare era molto grosso e sarebbe stato un bel colpo per la sua carriera , in effetti era la prima volta che trattava un accordo di quelle dimensioni. Un pensiero la sfiorò velocemente “perché proprio io ?..Perché il direttore mi ha dato questo incarico?” ma fu un attimo e il suo ego la portò a valutare i vantaggi della transizione, percentuali , premi di risultato.
Durante il tragitto nella sua mente già scorreva in anteprima il discorso che avrebbe fatto capitolare gli interlocutori a suo favore, quando il suo cellulare vibrò. Lo estrasse dal reggicalze facendo attenzione a non sciupare i collants, ed annoiata rispose. Dall’altro capo una voce maschile:
“Ti sto aspettando. Ho già dato disposizioni ad Hammad.”
“Ma chi è lei? Cosa vuole? Ci conosciamo?” “ Dove credi di andare? Noi due dobbiamo parlare.”
E d’improvviso interruppe la comunicazione.
L’appuntamento era in una zona elegante della città , al suo arrivò valutò l’edificio, una splendida palazzina inizio ‘900 con bandiere esposte e due uomini robusti controllavano l’ingresso.
La macchina si fermò ed un uomo con decisione aprì lo sportello senza dire una parola, attese che io fossi scesa e mi face segno di seguirlo oltre la soglia e mi accompagno in uno studio arredato con gusto , un cenno per farmi capire di accomodarmi e svanì tirandosi dietro la porta. Lo sguardo correva ad accarezzare mobili antichi e tappeti pregiati.
Qualche minuto di attesa ed ecco apparire la persona che aspettavo, vestito elegantemente , 35enne , carnagione olivastra , lineamenti arabi. Dopo le presentazioni , Hammad iniziò la lettura delle clausole contrattuali, ma la mia mente era distratta “una donna a trattare un accordo con un arabo?” ” Gli arabi normalmente rifiutano di parlare con le donne di affari”. L’uomo notò la mia distrazione ed interruppe la lettura. I suoi occhi scorrevano sul mio corpo, si fermavano sulla mia scollatura , scivolavano sulle mie gambe , soppesavano ogni centimetro delle mie gambe fasciate dalle autoreggenti, si fermarono sulle mie scarpe …sembrava non se ne volesse più staccare.. poi improvvisamente “ma lei calza una creazione Meliani”. Rimasi sorpresa della sua affermazione , della sua competenza in calzature ed inizio ad osservarlo meglio. I suoi gesti erano misurati , le sue mani curate ed affusolate terminavano al polsino della camicia trattenuto da splendidi gemelli. Il volto regolare era come offuscato da occhi neri profondi…un brivido mi saliva dalle caviglie correndo sotto alle calze per arrivare fino oltre la zona elastica delle autoreggenti dove si trasformava in calore. Un leggero tremito mi tormentava il labbro inferiore …il mio impaccio era evidente… Lui si alzò e prendendomi una mano mi accompagnò ad un grande divano per mostrarmi delle brochure …Il mio respiro si faceva sempre più corto , una insolita ansia mi pervadeva… Lui come distrattamente si accucciò su di me …sentii la sua mano che scivolava sulla caviglia e mi levava una scarpa … Il mio cuore ebbe un sussulto…la mia mente cercava di valutare la situazione…ma ero soggiogata ..non avrei potuto resistergli. Lui si staccò improvvisamente da me , portò la mia scarpa al naso e la annusò con sommo piacere e con ingordigia negli occhi e… “non posso resistere a queste scarpe , è più forte di me “… Valentina lo lasciò fare. Non aveva mai vissuto una simile situazione, ne era sopraffatta… incuriosita e priva di difese…
Il corpo di Valentina fremeva , la voglia saliva ad ondate, le cosce si stringevano come dotate di volontà propria . Lei seguiva tutti i movimenti dell’uomo aspettava un segno …una muta richiesta . Lo vide avvicinarsi , le sue labbra si prepararono ad attenderlo, qualche spasmo percorreva il suo corpo…senti il suo respiro.. La mano scendeva ..verso ..la sua ….. caviglia le liberò il piede dalla scarpa rimasta … Lei aspettava impaziente ..la mente era sconnessa dal mondo esterno…solo le sensazioni avevano spazio.. L’uomo si avvicinò alla scrivania con le due scarpe in mano.. “L’unica clausola per firmare il contratto: io devo avere le sue scarpe” Valentina era esterrefatta…
Non riusciva a capacitarsi , quell’uomo la aveva portata in quello stato di eccitazione pura e lui si interessava esclusivamente alle sue scarpe senza pensare alle richieste esplicite del suo corpo.
Firmò le carte che le furono messe davanti…era in stato catatonico .. Ogni tanto il suo corpo era scosso da brividi inconsulti, raccolse le sue carte e quello che rimaneva di lei… Uscì a piedi scalzi , scese le scale lentamente….il suo corpo la sollecitava…non le era mai successo niente di simile .. Le pesava camminare ..le sensazioni la avevano portata al limite …in un modo esasperato . I suoi piedi sentivano il freddo del marmo …non si capacitava di avere nella borsa un contratto firmato che le avrebbe portato promozioni e denaro ..
Valentina adesso aveva bisogno di altro ..ne aveva un bisogno assoluto …non aveva mai pensato che si potesse arrivare a tanto …doveva superare il limite ..ne sentiva il bisogno fisico…. Sali sul taxi che l’aveva aspettata ….biascicò un indirizzo…il tassista non capiva .. Valentina lo ripeté scandendo le parole …era persa nel suo mondo, i pensieri la portavano lontano …non riusciva a stare aggrappata alla realtà ..il suo corpo era sconvolto ..aveva bisogno di trovare una pace ..una soddisfazione .. I piedi coperti solo dall’estensione delle calze autoreggenti erano punzecchiati dalle fibre dei tappetini da poco prezzo …sentiva un fastidio esasperato. La macchina si fermò . Valentina fece cenno di attenderla , quello era l’indirizzo giusto …avrebbe trovato quello che cercava .. Un aitante giovanotto le si fece incontro, le sorrise …capì immediatamente di cosa aveva bisogno …e lui era proprio li per soddisfarla … Valentina si rese conto che il momento stava per arrivare … La sua mente aprì la porta per far entrare le nuove sensazioni, il suo corpo riprendeva vigore , una dolce euforia la avvolse . Valentina sentiva il calore che le saliva mentre le abili mani del giovane facevano il loro dovere … La bocca di Valentina si apri e sgorgarono le parole tanto agognate “Queste scarpe vanno proprio bene , sa quelle che avevo mi stringevano un po’”.
Il commesso cinse il suo piede, e infilò le agognate decolletè… Valentina sentì quel brivido, quel sommo piacere. Si alzò per osservarne l’effetto sulla sua caviglia sottile, graffiata dalla smagliatura della calza. L’effetto era sublime però… “Giorgio, stavolta prenderò queste Dior.” Cambiare il modello e il colore allontanava da lei il ricordo di quel attimo rubato… “Domani lo incontrerò ancora…” pensò, pagando il conto..
To be continued…
Matilde
Maggio 27, 2012 § 39 commenti
Matilde Cattiva
Sono cattiva. Non sorrido, non piango e soprattutto non piagnucolo, non voglio essere e apparire debole, fragile e neppure simpatica: non mi interessa mettere gli altri a loro agio, mostrare tolleranza, per carità, dolcezza, gentilezza, arrendevolezza, modestia: tutto l’armamentario tradizionale del femminile non mi appartiene, e non voglio che mi appartenga. Mi ripugna: mi ripugnano i buoni, e i buonisti, con tutto il corollario della melassa dei buoni sentimenti.
Io sono aggressiva, ambiziosa, voglio emergere, non voglio solo essere accettata: voglio vincere. E vinco. Perché io sono brava, e gli altri me lo devono riconoscere eventualmente da sudditi, non da padroni che mi sorridono e ai quali sorrido per conquistare la loro simpatia. Io sono brava, e per affermarlo non chiedo permesso, scusi,mi dispiace, a nessuno. Sono brava, e basta. E ci credereste? Funziona.
Rosy
Maggio 14, 2012 § 43 commenti
È seduta ad un tavolino di un bar, in centro a Firenze, ci ha messo due ore a prepararsi per la serata che l’aspetta, depilazione minuziosa durante il bagno caldo e profumato di magnolia, crema idratante accuratamente spalmata su ogni centimetro del corpo, deodorante in stick che non macchia i vestiti, profumo delicato dietro le orecchie e sui polsi (Chanel n°5). Sta sorseggiando un aperitivo alcolico cercando di stemperare la tensione. Mentre l’alcool entra in circolo favorito dallo stomaco digiuno, visualizza nitidamente la propria figura al centro della piazza. Si vede dall’alto come un puntino nero, piccolo e immobile al centro di quella piazza freneticamente attiva. Sono le 18,30 e la città si sposta dai luoghi di lavoro a casa o da casa ai luoghi di incontro per l’aperitivo, i turisti che affollano in gruppi le strade di Firenze tutti i giorni dell’anno intralciano immancabilmente la camminata frettolosa dei fiorentini. Passano minuti interminabili, il bicchiere è vuoto ma è presto, non può muoversi da li fino alle 19,15 come le è stato ordinato e lei non trasgredisce mai agli ordini, per questo è molto ricercata. Rosaria, così si fa chiamare, è un avvocato nella vita reale, con la passione per i giochi erotici. Diversi anni or sono si è iscritta ad un sito per incontri particolari e da allora organizza serate di gioco con uomini accuratamente selezionati che la cercano per le sue doti di donna raffinata, docile, ubbidiente e indiscutibilmente interessante. È ora, Rosaria si alza e si incammina verso Corso Cavour, l’appuntamento è in Piazza San Marco davanti allo storico e omonimo bar. Quando lui le aveva dato appuntamento li si era chiesta se non avesse sbagliato città fino alla verifica dell’indirizzo in internet. Corso Cavour è una strada particolarmente trafficata, una delle poche vie del centro ancora percorribile in automobile. Non bastasse il traffico su ruote, anche i marciapiedi sono stretti e pieni di ostacoli: persone che si incrociano e si scontrano in continuazione, furgoncini parcheggiati in qualche modo con le quattro frecce accese che scaricano materiali e merci ai negozi, portoni di scuole, attività e uffici pubblici che espellono altra gente a ritmo regolare, la pavimentazione in porfido complica la camminata sui tacchi altissimi a stiletto che è stata costretta a mettere per l’occasione. Maledetto porfido! Un tacco si è incastrato in una fessura, ad un primo tentativo non accenna ad uscirne. Rosaria è costretta a fermarsi, accucciarsi ed estrarre il tacco con le mani attirando l’attenzione di chi ancora non si fosse accorto di lei. Non passava certo inosservata, l’abito nero e attillato che indossava mostrava anche più del necessario, il tessuto impalpabile di cui era fatto evidenziava qualsiasi piega della pelle, la brezza della serata autunnale le aveva fatto rizzare i capezzoli e la mancanza di intimo sotto il vestito non aiutava a nascondere la sua quarta di seno fortunatamente ancora sodo. Ecco fatto! Il tacco è libero, la camminata può proseguire verso la meta. In lontananza scorge un’auto scura, un’Audi station wagon nera, accostata al marciapiede di fronte ai tavolini del bar San Marco. È lui. Il riflesso delle luci sul vetro posteriore le impedisce di vedere che lui la sta già osservando dallo specchietto retrovisore e si gode la camminata sinuosa di quella donna che per quella serata è sua. Ad ogni passo le sue morbide natiche ondeggiano elegantemente alternandosi in un movimento davvero sensuale. Il seno libero traballa facendo capolino dalla profonda scollatura.
Un attimo di esitazione, afferra la maniglia cromata e apre la portiera. Lui fissa la gamba che precede quel corpo tanto attraente, la caviglia sottile accompagna la scarpa nera tacco 10, molto elegante. La coscia sinistra si adagia sul sedile in pelle chiara, lui alza lo sguardo e incontra un paio di occhi verdi, intensi, esaltati dal trucco marrone. Le prende la mano, la bacia sulle dita, ha labbra morbide e carnose, mette in moto. Sir Andersen, con questo nome si era presentato la prima volta nella messaggeria del sito, era un uomo alto, capelli brizzolati non molto folti, occhi verdi, sulla cinquantina. L’auto scorre veloce per le strade cittadine, è l’imbrunire, le insegne e i lampioni sono già accesi. Man mano si allontanano dal centro le abitazioni si diradano, imboccano una strada priva di illuminazione, in salita, tortuosa. Ad ogni curva i seni di Rosaria privi di sostegni artificiali seguono la forza centrifuga. Un certo imbarazzo aleggia nell’aria, lui sembra molto sicuro di se, non accenna una parola durante tutto il tragitto e il pensiero di lei si perde nelle mille aspettative sulla serata appena iniziata. Dopo l’ennesima curva l’auto svolta in una stradina ancor più piccola, sterrata, piena di buche, avvolta da una fitta boscaglia. Ma dove diavolo sta andando? L’ultima curva svela le luci di un parcheggio. L’auto si ferma, posteggia accanto ad una Mercedes chiara berlina. Nel silenzio Sir Andersen tende la mano destra con il palmo verso l’alto, vuole una cosa che lei ben conosce, vuole una prova, la prova che un altro ordine è stato diligentemente eseguito. Rosaria estrae dalla borsa gli slip in pizzo nero e li posa sul palmo aperto di lui. Un sorriso di soddisfazione colora il suo profilo interessante accennando una manciata di rughe sottili accanto allo sguardo deciso. Aprono all’unisono le portiere, scendono ed entrano nel ristorante. È un posto intimo, incantato, in cima ad una delle colline che circondano Firenze, un piccolo locale immerso nel verde e decorato con decine di luci sapientemente posizionate nel buio del giardino. Dentro le luci sono calde e soffuse, l’arredamento è elegante con un tocco rustico. I tavoli distribuiti nelle due piccole sale sono una ventina, ma occupati solo quattro, cinque con il loro arrivo. Una donna grezza e di poche parole, che stona con l’atmosfera romantica del locale, li accompagna al tavolo. Lui ne sceglie uno in fondo alla seconda sala. Mentre passano fra i tavoli gli uomini osservano Rosaria con la coda dell’occhio che ondeggia sinuosamente come sempre. Le loro donne non se ne accorgono, sono troppo impegnate a fissare Rosaria con curiosa invidia, “chi è lei e chi è lui?”. Sicuramente la coppia non passa inosservata, entrambi sono affascinanti, eleganti, magnetici. Si siedono e l’imbarazzo si impossessa nuovamente di Rosaria, non capisce, di solito non le capita. “Imbarazzata?” Rosaria accenna un si con il capo, ha gli occhi lucidi. “Cos’è? Sono io, è il ristorante?”. Non è niente, solo che Rosaria gioca sempre al chiuso, non ha mai organizzato una serata pubblica. “Tranquilla, sarà una serata speciale, puoi fermarmi quando vuoi” la sua voce è calda e rassicurante, le prende nuovamente la mano e la bacia sulle nocche.
Rosaria si sente osservata, alza lo sguardo e al di la del camino che divide le due sale una donna bionda e sciatta la fissa. Sir Andersen se ne accorge – “Ci penso io…” – estrae gli slip in pizzo dalla tasca dei pantaloni posandoli ben in vista sul tavolo. Li copre con una mano mentre ordina la cena per entrambi, poi la toglie nuovamente. La donna bionda li scorge e, sentendosi scoperta, smette di fissare Rosaria lanciandole un’occhiata solo di tanto in tanto, non può resistere alla curiosità di quella strana coppia. Gli slip restano sul tavolo finché la signora non arriva con i piatti di tagliolini al tartufo bianco. Mentre posa le pietanze sul tavolo li vede, finge di non capire o forse non capisce ma intuisce. Abbozza un sorriso e con discrezione si allontana. Mentre mangiano Sir Andersen la imbocca spesso attirando nuovamente l’attenzione dei presenti, il loro tavolo diffonde elettricità, energia. “Voglio una prova inequivocabile che non hai indossato nulla di intimo sotto l’abito” – Rosaria solleva il vestito fino all’anca, sporgendo la natica sinistra fuori dal bordo della seggiola, la pelle abbronzata e liscia non è interrotta da alcun capo d’abbigliamento intimo, si rimette seduta compostamente distendendo il bacino sotto il tavolo. Incrocia la gamba sinistra con la sua gamba destra, invitandolo. Lui insinua una mano sotto il tavolo facendola scorrere verso l’inguine di Rosaria fino a toccarle il sesso – “Fai finta di niente, continua a parlare sforzandoti di mantenere un tono naturale finché non smetto” – gioca con lei per qualche minuto. Arriva la signora con i secondi piatti. Senza staccare lo sguardo dagli occhi verdi di Rosaria ringrazia la signora e attende che si allontani. Toglie la mano da sotto il tavolo e con la stessa mano afferra un pezzo di verdura pastellata dal piatto, ne morde metà e imbocca lei con l’altra metà spingendo la mano fino ad infilarle in bocca la punta delle dita. Le sorride, la cena prosegue normalmente e come una normale coppia, commentano i presenti. Un paio di tavoli più in la c’è una coppia davvero pittoresca, sembrano usciti da un film di Verdone, stile ‘o famo strano in Viaggi di Nozze. Lui, palestrato, indossa una maglia aderente, rosa con disegni argento, lei fasciata in un paio di jeans sdruciti, un corpo non proprio modellato e una camicia elasticizzata che da l’effetto salame. Sono certamente una coppia clandestina, quando squilla il di lui cellulare dalla suoneria invadente risponde e con tono poco discreto informa l’interlocutrice, una certa amo’ di essere a casa in procinto di andare a dormire. Lei, dopo averlo ascoltato mentre dichiarava di non volere impegni e responsabilità di alcun genere, tenta di parlargli di se e come ogni donna al primo appuntamento lo investe con tutte le sue disavventure sentimentali facendo l’errore di scoppiare a piangere nel bel mezzo della cena. Non sarà una coppia di lunga durata. Nel frattempo il ristorante si è svuotato, sono gli ultimi due tavoli. E’ tempo di uscire. Sir Andersen, galantemente, ha già pagato, prende Rosaria per mano e la conduce fuori.
Un lungo bacio li trattiene nel parcheggio per qualche minuto, poi, nel silenzio, salgono in auto riprendendo la strada tortuosa di prima. Nel buio di quella notte limpida le luci di Firenze scintillano come diamanti al sole. “Toccati! E non smettere nemmeno quando saremo nuovamente illuminati dalle luci della città, nemmeno quando ci fermeremo ai semafori, non smettere finché non arriviamo” – lei, inebriata dal vino rosso non barricato bevuto in abbondanza durante la cena, solleva l’abito fino a scoprire le cosce, sente il freddo dei sedili in pelle beige a contatto con la sua pelle abbronzata, solleva la gamba destra e appoggia il piede sul cruscotto. Il respiro si fa sempre più carico, con gli occhi socchiusi scorge le luci dei semafori, i lampioni, la gente che chiacchiera ai bordi delle strade, le auto parcheggiate, tutto scorre veloce come nella scena accelerata di un film. Silenziosamente l’auto entra nel parcheggio di un albergo, Rosaria sente solo il rumore della ghiaia sotto le gomme dell’Audi. Sono le 23 e tutti gli ospiti tornano dalla cena o escono verso i locali, lei sale su di lui che resta al posto di guida, fanno l’amore come due adolescenti, senza parlare, baciandosi e accarezzandosi, la posizione è scomoda ma sembra non se ne accorgano. L’atmosfera è carica di erotismo, Rosaria non è abituata, di solito non si sente coinvolta ma c’è qualcosa di diverso, una dolcezza inaspettata. Sempre nel silenzio salgono in stanza, mano nella mano percorrono le scale strette e ripide della vecchia costruzione medioevale ristrutturata, i rumori della notte sono nitidi, le chiavi che entrano nella toppa, i passi, il fruscio dei vestiti. Si spogliano completamente e fanno l’amore di nuovo per ore, si assaggiano, si baciano, si toccano, si accarezzano. Dopo l’apice restano stesi con i corpi accaldati che aderiscono l’uno all’altro. Lui guarda l’orologio, la bacia sulla tempia, si alza e si riveste. La sua vita è a casa che lo aspetta, lei lo sa, era preparata, o così pensava. Una lacrima le solca il viso mentre sente la porta che si apre e si chiude, i passi sulle scale si allontanano, il rumore dell’auto che si accende e sfuma scomparendo nella notte.
Rosaria si alza , schiaccia il bottone “on” un leggero ronzio accompagna lo schiarirsi dello schermo, la pagina della chat si apre . Gli occhi corrono sulla lista dei nick , cerca di immaginare la figura che si cela dietro a quei nomi improbabili, la mano corre ad accarezzare la gota e rimuove la leggera traccia di umido. Bando alla malinconia ,
Rosy è tornata in pista , si apre a caccia.
Caterina
Maggio 4, 2012 § 11 commenti
Piccola serie di racconti: “Donne si raccontano”
6°
Caterina La seconda
L’ho incontrato a metà strada tra i miei venti e trent’anni, lui viaggiava già verso i cinquanta. Sposato, con un figlio, ma non me lo ha mai detto: ho dovuto scoprirlo da sola, insospettita dalle sue assenze soprattutto nei fine settimana e durante le feste cosiddette comandate. Vergognandomi come un cane, ho dovuto mettergli alle calcagna un investigatore privato. Ne ho ricavato le notizie che oggi ho, e il suo vero indirizzo, che non mi aveva mai dato. E per un po’ ha continuato a negare anche di fronte all’evidenza dei fatti.
L’ho conosciuto a una mostra. Io volevo fare l’artista, lui lo era già: famoso e molto ben “collegato”, come si dice oggi, vale a dire potente. Non so se ero affascinata da lui o dal suo successo, certo è che il fatto che lui mi prendesse in considerazione, mi ascoltasse con attenzione persino esagerata, esaminasse con scrupolo i miei tentativi di esprimermi con il suo stesso linguaggio, fornendomi suggerimenti e consigli, me lo rendeva indispensabile: di qualunque cosa sia fatto l’amore – interesse, sudditanza psicologica, necessità di protezione – io ero innamorata. E lo sono ancora, a trent’anni di distanza. Riesce sempre a incantarmi, a sorprendermi, continua a farmi sentire allieva di fronte al maestro. Ho bisogno di lui, delle sue vittorie, della sua notorietà, del suo indiscusso successo. Forse ho anche bisogno delle sue bugie, della sua doppiezza, della sua straordinaria capacità di cavalcare tutte le onde restando sempre a galla: insegnami come si fa….E perciò ho accettato tutto: la moglie e il figlio, da cui non si è mai separato, e io sempre, da trent’anni la seconda.
Seconda nella vita, nelle vacanze, nei viaggi da fare insieme: se può e quando può e non può quasi mai: seconda nei fatti, e temo, anche nei pensieri. Da me non ha voluto un figlio: ne aveva già uno dalla moglie. Non mi vuole ovviamente nelle occasioni ufficiali, dato che io, ufficialmente non esisto. Non mi vuole nelle cene con amici che siano comuni a lui e alla moglie. Non ha mai voluto che andassi a trovarlo sul luogo di lavoro, dove tutti sanno, e tutti devono fingere di non sapere. Anche sua moglie sa, non può non saperlo, ma cuore di pietra, ha deciso di non sapere, di non voler sapere, chissà come ha fatto e come fa.
Sono trent’anni che stiamo insieme. Trent’anni che facciamo l’amore di nascosto, si fa per dire, visto che tutti ne sono al corrente. Non è stato un maestro: non sono affatto riuscita ad “usarlo” per rubargli i segreti del mestiere e affermarmi a mia volta. Non è stato, come ho detto, un marito, né lo sarà mai. Mi ha dato un ruolo, uno solo: quello della seconda, appunto. E da trent’anni, io vivo nell’ombra, accanto a lui, non la vita, la mia vita, ma la sua seconda vita. E lui mi dice sempre: “Ma vuoi mettere quanto è più bello, più vero, questo nostro rapporto senza ufficialità, questa scelta reciproca che rifacciamo ogni giorno, uguale, da trent’anni……”.