A proposito di piedi

gennaio 29, 2018 § Lascia un commento

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La luce tremolante della candela rendeva l’atmosfera dolce e allo stesso tempo maliziosa. Lei era stesa sul divano con le caviglie appoggiate al bracciolo. Guardava distrattamente il lume acceso. Lui si avvicinò con le tazze in mano contenenti caffè fumante. I loro sguardi si toccarono per un istante, intensissimo. Gli occhi neri di lui si posarono in estasi sulla bellezza della linea dei suoi piedi nudi accavallati uno all’altro. Erano piccoli, incastonati su caviglie sottili con malleoli pronunciati e un tendine tagliente come una lama. Avevano proporzioni perfette rispetto alla sua statura, la forma arcuata mostrava le pieghe della soffice carne della pianta, gli alluci leggermente più corti del secondo dito costituivano un dettaglio non indifferente perché un piede venga universalmente considerato un bel piede, come aveva potuto più volte ammirare sui libri di scuola nelle raffigurazioni pittoriche e scultoree del classicismo mitologico. La pelle dei piedi era morbida e liscia, un dono di natura, sul dorso aveva vene appena accennate che lui adorava sfiorare con le labbra per poterne percepire il rilievo. Le unghie, curate e smaltate di una nuance naturale, riflettevano la luce in modo così sexy… Per non parlare di quanto lo eccitava quella lunetta più chiara che faceva tanto french style! Il suo pensiero volò all’ultimo acquisto che avevano fatto insieme, si era seduto a terra davanti a lei e le aveva fatto indossare i sandali incurante della commessa e degli altri clienti del negozio. Visti da sotto, i polpastrelli tondi e carnosi delle cinque dita erano allineati in ordine come una fila di denti… Senza soluzione di continuità si ritrovò dai pensieri all’azione. Con la lingua aveva già iniziato l’esplorazione dell’estremità arrotondata delle dita gustose. Lei sentì il calore di lui insinuarsi tra un dito e l’altro inumidendone l’incavo, una sensazione avvolgente tanto da sentire una scossa all’inguine. Dalle dita passò a dei piccoli morsetti rivolti alla pianta, lato esterno, piede destro, morbido come quello di un bimbo. Assaggiava i suoi piedi come si gusta un pezzetto di cioccolato fondente, con gradualità, con passione. Tornò alle dita concentrandosi sull’alluce, accogliendolo in bocca e scaldandolo con tutta l’intensità di cui era capace. Prese entrambi i piedi in mano e se li mise sulle guance come fossero le mani di lei, come avesse bisogno di una carezza. Chiuse gli occhi e restò così per qualche secondo. Quando li riaprì lei notò quello scintillio che conosceva bene. Sapeva che sarebbe potuto andare avanti per ore ad occuparsi di “loro”. Rigirò i piedi da ogni lato, saggiandone la differente morbidezza, percorrendone ogni curva alternando il tocco del dito indice con la lingua, sfiorandone ogni centimetro di pelle con la pelle del viso, soffermando lo sguardo su ogni chiaroscuro formato da pieghe della pelle, unghie, vene e ossa in movimento sottopelle.  Da entrambi era vissuto come un vero e completo atto sessuale, perfettamente sostituibile alla penetrazione, dava loro una sensazione così forte di intimità e di complicità difficilmente comprensibile ad un occhio comune. Le sue previsioni si rivelarono realistiche, 90 minuti di puro piacere carnale, senza i due tempi ma molto più appagante di una partita a calcio!

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L’ansia di Elisa

agosto 30, 2017 § 2 commenti

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Questa volta è diverso, non ho più i capelli raccolti in una lunga treccia nera, ne ho il mio zaino rosso in spalla … è un altro tipo di viaggio.

Lasciata la mia piccola Viareggio, lasciata la mia amata Roma eccomi seduta accanto al finestrino dell’aereo cercando di scoprire con lo sguardo, le terre che si intravedono sotto una mare fantastico di nuvole, tra poco scenderò a Dubai.

Non ho lo zaino, non ho 30 anni, ma mi sento in trepidazione quasi ne avessi 20 …

Mi torna in mente un vecchio film con Sordi e la Cardinale .

Una volta si scrivevano lettere appassionate che arrivavano fino in Australia e poi c’erano le foto tessera, e poi c’era l’ incontro … adesso c’è il web con la sua faccia intrigante.

…e se non ti piacessi? Lo sai che ho “gli occhi a palla, il naso a ciabatta e le gambe a merlo” come diceva il mio ex marito?

…e se non ti piacessi? Lo sai che sullo space le mie foto sono modificate con un programmino e risulto molto meglio di quello che sono in realtà?

…e se non ti piacessi? Lo sai che non so nuotare? 

e se non ti piacessi … resterebbe la stima, la simpatia e il piacere di bere insieme un buon caffè …

Non sono affatto tranquilla, quando mi passo la mano tra i capelli è brutto segno … ma poi mi rassereno … ho trovato la chiave: essere soltanto me stessa.

E’ il momento di allacciarsi le cinture, l’aereo inizia le manovre per l’atterraggio … tra poco ti vedrò, ne sono felice … e tu  mi sorriderai …

Forse è solo una fuga ma non dal mio ex ma da me stessa e dalla mia vita

Elisa

Foto da web

 

Ma cosa sono i Dentrobatidi

luglio 31, 2017 § 5 commenti

Una voce circolava tra i laboratori: la direzione stava cercando persone per una missione strategica, e qualcuno tra i miei colleghi pensava di offrirsi volontario per guadagnare dei punti.
Sarebbe stato meglio se ce la fossimo giocata alla pagliuzza più corta, invece il Dott. Gianti mi chiamò nel suo ufficio super tecnologico con quella scrivania che praticamente è lo schermo di un megaPC. Mi aveva blandito con le solite menate: “Uno solerte come lei, preparato, puntiglioso e preciso” e intanto armeggiava strisciando le dita sulla scrivania dove apparivano immagini di foreste, di fiumi, baracche e barche.
“Il target è questo, bisogna eseguire una accurata ricerca sui Dentrobatidi, bisogna studiarne le tossine e la loro applicazione nel nuovo farmaco Calmix”.
“Scusi io credevo che il Calmix fosse pronto per la commercializzazione, non che fosse in fase di elaborazione”.
“Abbiamo avuto dei problemi sui test e effetti collaterali poco piacevoli”.
“Bene, posso mettermi al lavoro immediatamente se mi procurate il materiale necessario”.
“Appunto, lei si metterà al lavoro da questo momento, il materiale bisogna procurarselo e precisamente sarà lei a provvedere e questo materiale si trova in Amazzonia. Buongiorno”.
Uscii dall’ufficio con la mente in pieno subbuglio: io sono un ricercatore da laboratorio, la mia arma è il microscopio, le mie munizioni sono le provette e il mio lanciafiamme è il beccobunsen.
Poi, tra l’altro, che cosa sono i dentrobatidi? A quello potevo rimediare velocemente, una ricerca su Google e sicuramente le informazioni sarebbero fluite.

Sono ancora intento a guardare quella specie di rana gialla e nera e a leggere che era ricca di tossine che gli indigeni estraevano per fare il veleno in cui intingere le frecce, quando la segretaria mi comunica che ha già i biglietti aerei per Manaus e che il volo è alle 22,00 di quel giorno. Milano-Lisbona-SanPaolo-Manaus, come bere un bicchier d’acqua. L’unico volo che avevo fatto prima di allora era un Milano-Catania solo andata – il ritorno lo avevo fatto in treno perché avevo sofferto il mal d’aria ma questo era lavoro e non potevo dire di no. Butto qualche vestito in una borsa, non so neanche cosa portarmi e come vestirmi, ma per quanto riguarda la tecnologia ho le idee chiare, telefonino, I-pad, Pc portatile, macchina fotografica, analizzatore di spettro, microscopio laser, tre led ad alta efficienza, tutti i carica batteria necessari e una riserva di energia. La borsa non basta e allora trasferisco tutto in uno zaino da trekking. Devo sbrigarmi per arrivare in tempo all’aeroporto e devo passare in farmacia per far scorta di medicinali essenziali ed aggiungere a quelli il Travelgum. Lo zaino pesa un accidente e riempio di medicine le tasche laterali sotto lo sguardo attonito della farmacista che sbotta “Ma dove va? In Amazzonia?” Ma è così evidente?, mi chiedo.
Come un ebete arrivo in aeroporto e mi fanno un sacco di menate perché lo zaino è fuori misura, ma finalmente mi imbarco e a ogni scalo è la stessa ma ormai sono travelgum-dipendente. Dopo due giorni arrivo a Manaus, il caldo mi dà una mazzata che credo di morire, respirare è una fatica, l’aria sembra liquida. Vado in albergo che puzzo come una carogna, esco dalla doccia e praticamente svengo sul letto. La mattina vengo svegliato dalla donna delle pulizie, è tardi e non faccio più in tempo per la colazione. Improvvisamente mi ricordo che sono due giorni che non mangio. Scendo nella hall con la fotografia della rana maledetta e mi indicano un posto al porto fluviale dicendomi che c’è un tipo che mi può aiutare. Dopo aver mangiato esco dall’hotel e il caldo mi assale, trovo la persona indicatami e la sua barca, ma nessuno dei due mi dà fiducia. Non ho scelte, prendo il mio zaino e via verso l’ignoto. Dopo quattro ore di navigazione e una buona dose di Travelgum arriviamo in un villaggio sul fiume. La mia base per le ricerche e per la notte. Mi sistemano in una baracca con un pagliericcio come letto. Naturalmente qui la civiltà non è ancora arrivata, non c’è energia elettrica e perciò al buio tutti a nanna. Verifico le mie attrezzature e le batterie non sono proprio al 100% ma non mi preoccupo. Provo a collegarmi ma naturalmente niente. La mattina si parte alla ricerca di Dentrobatidi, la giungla ci avvolge, le zanzare banchettano con il mio sangue e mi trasfigurano, ogni mia parte esposta viene attaccata e naturalmente tra le medicine varie non ci sta un repellente. Dopo tre ore di cammino sono disfatto ma di quella maledetta rana gialla neanche l’ombra. Le gambe incominciano a cedere e cado nel fango più volte, poi cado nell’acqua, lo zaino mi tira a fondo, la mia guida mi tira all’asciutto e mi ricorda che possono esserci i piranha. Guardo sconsolato le mie attrezzature, tutta la mia tecnologia avanzata distrutta da una misera pozza d’acqua. Ritorniamo al villaggio e sono in condizioni disperate, sono incrostato di fango, la mia pelle è una grattugia e il prurito non mi dà tregua. Cerco di lavarmi con circospezione, il pensiero dei piranha non mi abbandona. Il giorno dopo ritorniamo a Manaus e medito sulla mia disfatta. Non ho risolto nulla e ho buttato via un sacco di soldi di attrezzature. Mentre mi avvio verso il mio hotel leggo un cartello “ Laboratorio di analisi”; colto da un lampo di lucidità entro e chiedo lumi su quella maledetta rana gialla. La risposta è traumatica: “Signore se ci scriveva una mail le avremmo inviato le tossine già estratte con pagamento in contrassegno”.
Svolgo tutte le pratiche e faccio inviare tutto in laboratorio. Almeno la parte lavorativa è risolta. “Cazzo se ci avessi pensato prima mi sarei risparmiato tutto sto casino”.
In hotel verifico il contenuto del mio zaino, sembra tutto distrutto, forse solo il telefonino dà qualche segno di vita. Improvvisamente la suoneria inizia a squillare e le note dell’inno alla gioia si diffondono nella stanza, rispondo con trepidazione: “Pronto”.
“Buongiorno sono Luisa e la chiamo per conto di Vodafone…”.
“Ma vafff”.

MA IL TEMPO….?

Maggio 28, 2017 § 11 commenti

TEMPO

A Istanbul c’è un museo piccolo dove sono esposti i meccanismi degli orologi e in una stanza c’è una grande clessidra montata su una basculla che ruota quando si vuota da una parte, come a simboleggiare lo scorrimento perpetuo del tempo.

La sabbia che rotola verso il basso da come una suggestione ipnotica, se ti soffermi a guardare questo movimento ti viene difficile staccarti e quando ci riesci per qualche attimo sei frastornato, bellissimo.

Una sensazione particolare molto sottile ma intensa; il tempo che scorre ineluttabile e ci porta in una dimensione temporale che va oltre la nostra comprensione ,è questo che crea la suggestione.

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Tutti noi diamo per scontato il concetto di infinito……del non inizio e della non fine del tempo …questi due concetti hanno sempre fatto riflettere, senza poi riuscire a trovare una ragione e difatti poi il pensiero si nasconde in un angolo e resta lì sopito fino a spuntare improvviso davanti a un tramonto…una eclisse….una falce di luna che sorride.

Oppure al mare la sera quando vicino all’acqua si sente il movimento del mare, la risacca e questo moto continuo porta una strana sensazione come di appartenenza a un mistero così grande e nello stesso tempo dà il senso dei nostri limiti e anche dell’importanza dell’essere al mondo, la vita come un dono da non sprecare e ci mostra la nostra fragilità …quel nostro essere insignificanti al cospetto di tanta grandezza e magnificenza ma allo stesso tempo partecipi e consci che se non fossimo vivi questo non ci sarebbe dato di vedere e che facciamo parte di un tutto un …..io.

Ma cosa misura il tempo passato?.. La trasformazione delle montagne , il movimento delle faglie tettoniche. Troppo grande questo lasso di tempo ,è fuori dalle nostre capacità di apprendimento , lo accettiamo come un dogma ma ne restiamo fuori, lo guardiamo come una cosa estranea. Il tempo che ci riguarda…. come lo misuriamo? ..gli anni che senso hanno, guardiamo il nostro corpo che si modifica, cresce , si modifica , decade ma siamo sempre noi .

Guardiamo le modificazioni di chi è intorno a noi …vediamo le evoluzioni che il tempo porta ma ne abbiamo la netta sensazione ? Dovremmo sceglierci un albero e ogni tanto andarlo a guardare . Quando nasce un bimbo dovremmo piantare un albero e regalarglielo. Lui potrebbe andare a vederlo una volta all’anno , guardare come si evolve , i rami che svettano verso il cielo . Curarlo, eliminare i nidi di filossera , accarezzare i rami contorti , guardare le foglie che cadono , contare i nidi che albergano nella chioma.

Ogni cosa allora si ridimensiona passa come in un setaccio e resta poi solo il cuore delle cose che hanno veramente importanza, ma…. abbiamo la memoria corta come il nostro tempo.

La gerontofila

Maggio 23, 2017 § 1 Commento

“Ti chiamo io nei prossimi giorni”

Resto fermo qualche secondo a guardare la porta chiusa ,qualcosa è andato storto ma cosa? Salgo in macchina e vado a cercare un parcheggio , abito a poca distanza ma non ho voglia di andare a casa , devo pensare e ora non sono lucido.  La luna è alta nel cielo buio , sento il frangere delle onde . Sul lungomare c’è un bar ancora aperto con qualche tiratardi ancora all’opera. Mi siedo ad un tavolino un po’  a lato e rivolgo il mio sguardo alla vetrata , non voglio dare adito a nessuno di attaccare discorso. Si avvicina una giovane con un grembiulino , il trucco  disfatto un viso che trasuda stanchezza e prima di farla parlare le chiedo una media alla spina .

Luca mi aveva contattato 2 mesi prima , doveva organizzare una esposizione di reperti archeologici presso un museo a Finalborgo e mi offriva “vitto e alloggio” e una piccola “una tantum” .

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Io ero libero ed avevo accettato e mi faceva anche piacere rivedere Luca con il quale avevo partecipato ad un paio di spedizioni in Giordania , avevo anche bisogno di rilassarmi e quel lavoretto mi sembrava l’ideale. Luca mi aveva messo a disposizione un appartamentino a Finale con relativo posto macchina , aveva aperto un conto in un ristorante a pochi metri e la parte logistica era completata . Mi aveva presentato i compagni di lavoro che avevano età tra le più disparate che andavano dai 20 agli 85 anni praticamente tutti volontari che offrivano qualche ora del loro tempo. I due artigiani che si occupavano delle istallazioni erano due professionisti dall’aria vagamente stravagante. Uno era di corporatura massiccia e tarchiata , la faccia era coperta da un paio di occhiali tondi e da una lunga barba  che tratteneva con una serie di elastici che la faceva assomigliare ad resta di salsicce e terminava sul petto . Il suo collega era uno spilungone segaligno con braccia lunghissime , stempiato con i pochi capelli rimasti portati a coda di cavallo , un paio di occhialini rettangolari sulla punta del naso e portava dei baffetti sottili  che facevano da tetto ad una bocca spiovente.I due che sembravano molto competenti erano governati dalla sorella di Luca di sette anni più giovane che avevo conosciuto in Giordania quando era venuta a trovarlo . Luisa , una donna molto energica anche se di fisico minuto con due splendidi occhi scuri e profondi e con lineamenti regolari, appena mi vide mi abbracciò con un trasporto forse eccessivo ma la cosa mi fece piacere . Era stata sposata per venti anni con un giovane molto sportivo che purtroppo aveva lasciato questa terra mentre prestava soccorso alle vittime di un incidente travolto da una auto . Luisa si era chiusa in un mutismo ostinato  e travolta da una depressione devastante. Dopo un anno Luca la aveva portata in Giordania e io mi ero impegnato a cambiare il suo stato insieme al fratello. L’avevo portata  a correre sulle dune con il fuoristrada , avevamo partecipato a incontri conviviali con cibi locali, le avevo insegnato ad andare in moto sulla sabbia. Lentamente era uscita dalla spirale della depressione e rientrata in Italia si era accompagnata con un ricercatore che attualmente partecipava alla spedizione italiana  in Antartico. Io volevo molto bene a Luisa , con lei avevo percorso un tratto di strada aiutandola a superare i baratri e le impervie vette dell’esistenza sostenendola fraternamente. Era facile collaborare con lei , metteva tutti a proprio agio i due artigiani erano innamorati perdutamente , la seguivano nei suoi voli pindarici e cercavano di soddisfare le sue richieste. Dopo una settimana mi aveva presentato Claudia mi ero perduto nei suoi occhi verdi al tocco della sua mano avevo sentito una scossa che mi aveva percorso il corpo. Aveva una classe innata ,gli anni avevano lasciato pochi segni sulla sua figura , i capelli erano di un biondo cenere e i lineamenti molto fini deturpati da un paio di occhiali bruttissimi inoltre vestiva in maniera classica come se non volesse farsi notare. Luisa me l’aveva presentata come una sua ex compagna di liceo perciò conoscevo anche la sua età , sei anni meno di me. Avevo iniziato a farle una corte serrata piena di attenzioni che lei accettava con il sorriso sul volto ma i miei inviti a cena venivano sempre annullati con le scuse più disparate . La sua presenza era subordinata a quella dei miei amici  se la cena era con la presenza di Luca e Luisa allora lei era presente e accettava la mia corte e dava anche segnali di accettazione ma appena rimanevamo soli frapponeva un muro invalicabile. Dopo due mesi la mostra era stata aperta , il pubblico si era presentato numeroso e il giorno seguente avevo ritentato ad invitare Claudia a cena e con mio sommo stupore aveva accettato , avevo prenotato in un ristorante a Borgio Verezzi perché volevo creare una certa atmosfera il più intima possibile. La cena era stata splendida ,era andato tutto bene avevamo iniziato con dei piccoli sfioramenti e poi mano nella mano sulla terrazza che domina il mare eravamo stati vicini da sentire il calore dei corpi.  Saliti in macchina lei mi aveva detto

” mi porti a casa “

con una voce che non lasciava dubbi . Mi ero fermato vicino al suo portone ed ero sceso per aprirgli la portiera e lei quasi fuggendo  ” Ti telefono io nei prossimi giorni”.

La cameriera aveva già spostato tutte le seggiole e con qualche colpo di tosse aveva cercato la mia attenzione “mi scusi è tardissimo, devo chiudere” “Ha ragione mi scusi , le devo pagare la birra ” “Lasci stare non l’ha neanche bevuta gliela offro io , Buonanotte”. Sapevo che non avrei dormito che avrei ripassato al rallenty tutta la serata , parola per parola , gesto dopo gesto dovevo trovare il motivo del rifiuto , di quel respingermi dopo avermi attratto. Dopo due giorni durante i quali non si era più ne fatta vedere ne sentire avevo comunicato a Luca la mia intenzione di ritornare a Genova , avevo salutato Luisa senza fare menzione di Claudia ma nei suoi occhi vedevo un qualcosa che non riuscivo a decifrare ma ero profondamente deluso e non connettevo a dovere. Passati alcuni giorni a Genova a sistemare le cose in sospeso ero stato contattato per un lavoro nei pressi di Bakù , qualche mese di lontananza mi avrebbero fatto sicuramente bene.

Passati quattro mesi ero tornato a casa ,alla mia vita ma il pensiero di Claudia non mi aveva abbandonato , ero tentato di chiamarla ma non mi decidevo allora una sera chiamai Luca con la scusa di chiedergli come era proseguita la mostra ,dopo varie domande preparatorie arrivai a quella cruciale “di Claudia che ne è stato? l’hai più vista?” “non ne so niente e non l’ho più vista , chiederò a Luisa e ti faccio sapere”.

La sera dopo una chiamata di Luca “domani vengo a Genova con Luisa che è rientrata da Ushuaia da qualche giorno , ci possiamo vedere a pranzo” “certo ci penso io , ciao a domani “

Luca aveva un’aria leggermente imbarazzata e sul volto di Luisa leggevo un po’ di tristezza mentre io cercavo di essere leggero e forse un po’ sopra le righe. Un bel ristorante vicino al porto antico e pranzo a base di frittelle di fiori di zucchino e e fiori di acacia , calamaretti affogati e fritto misto. La mostra era stata un successo con un alto numero di visitatori , la critica positiva e per quanto riguardava la vita tutto fluiva e le prospettive future allettanti .  Al caffè cercando di rompere quel velo di imbarazzo che di aveva avvolti ho lanciato una domanda nell’aria : “Come sei stata a Ushuaia ?”              “Ho trovato la città con un’aria di frontiera con qualcosa di violento ma nello stesso tempo eccitante anche se sono andata là per trovare qualcosa anche se sapevo che non c’era più , quando è arrivato Giulio non c’era più nessun fuoco da riattizzare , neanche una piccola brace . Come sempre ha parlato solo di se stesso , delle sue ricerche , del suo lavoro ma mai di noi, non c’era altra soluzione ….ci siamo lasciati e mi sono sentita liberata anche se lui non mi ha messo nessuna catena ma ora so quello che voglio”

Luisa guardandomi negli occhi mi dice:        “Franco ti devo parlare seriamente di Claudia ” “Dimmi , tu credi che io possa avere qualche speranza? Tra Genova e Finale ci sono solo settanta km , posso certamente continuare a farle la corte ma forse ti ha detto qualcosa , forse in qualche modo l’ho messa in imbarazzo?”

“Franco, Claudia si è sposata”

La botta è forte,  ho bisogno di elaborarla ma Luisa mi incalza ” Franco stammi a sentire e non interrompermi”

Claudia si è sposata a venti anni con un commerciante di auto di Sanremo che aveva trentacinque anni più di lei . Dopo quindici anni è rimasta vedova con un patrimonio consistente ma dopo pochi mesi si è sposata con il commercialista del suo defunto marito che anche lui aveva trentacinque più di lei .  Passati otto anni anche lui ha raggiunto i più , aggiungendo i suoi possedimenti a quelli già consistenti della ferale vedova che tra l’altro non è legata ai soldi perché non ha una vita dispendiosa ma piuttosto frugale ma questo non impedisce alle malelingue di elucubrare teorie . Comunque dopo pochi mesi si trasferisce ad Albenga e convola a nozze con un affermato notaio  anche lui facente parte del club degli ottuagenari della città ingauna . Dopo tre anni ritorna a suo stato di vedova e le voci su di lei riprendo a chiacchierare sulla sua collezione di patrimoni ma lei è pervicace si risposa con un avvocato genovese fino che anche lui sei mesi prima della sua apparizione a Finale prende il suo posto nella cappella di famiglia a Staglieno. Quando è sparita da Finale ,dopo che tu l’hai vista per l’ultima volta,  non ne ho saputo più niente fino a un mese fa quando mi ha chiamato e mi ha detto che si sarebbe sposata con imprenditore edile di Savona , vedovo senza figli che anche lui aveva superato la soglia degli ottanta , poi ho letto sul giornale un trafiletto che ne comunicava le avvenute nozze , l’ho chiamata per un aperitivo . Ci siamo incontrate e l’ho trovata serena e appagata e mi ha detto di salutarti e di perdonarla se ti ha illuso e dato delle aspettative.

Mentre ascoltavo questo resoconto così minuzioso qualcosa si rilassava dentro di me  , non avevo sbagliato niente e non ero io lo sbagliato ..forse …ero semplicemente troppo giovane , sicuramente se hai a che fare con una gerontofila devi… avere l’età giusta.

Luisa dopo avermi lasciato il tempo di assorbire il tutto aveva ancora qualcosa da dire: “Devi sapere che anch’io sono innamorata di uno più grande di me ma sette anni non sono poi tanti”

 

Due giorni a Natale

marzo 21, 2017 § 7 commenti

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“Tutto, capisci? Lei si ricorda TUTTO”. Il tizio era seduto davanti a me, sullo sgabello americano – l’occhio un po’ troppo spalancato sul terzo whisky. Ho il bar davanti al mare da venti anni, e certi tipi li riconosco da lontano: o.k., girano, girano come trottole, ma poi arrivano sempre li’: a parlarti del loro primo amore, e del dannato primo bacio, e di tutti gli eccetera del caso.

Ho il bar davanti al mare da venti anni. Che noia. Dicono che le donne parlino d’amore così volentieri fra loro – e già le sento, a raccontarsi, nelle toilette delle signore, dal parrucchiere, e chissadove, e trucchi, fruscii, cose di donne… gli uomini no. Gli uomini parlano solo con noi baristi. E raccontano. Ma questo tizio cosa mi stava raccontando?                                                          

“Lei non ha dimenticato nulla…certe canzoni – sa esattamente tutte le parole! O…come andarono certe nostre domeniche…e quel certo vestito, quel preciso gesto! Sono passati più’ di trent’anni. Io…io ero un sedicenne spocchioso e disattento, e quanto lo fui con lei! Forse per questo ha deciso di vendicarsi a colpi di memoria…e cosi’ mi telefona , mi scrive, mi lascia biglietti sulla porta di casa, e mi racconta come eravamo. Esattamente. Come in un film. Tutti i dettagli al loro posto. Inesorabile. Oh, un poco alla volta, lentamente, come a dosare un veleno sottile…e io ogni volta sento quella fitta al cuore, per noi, per il tempo…Lo so che cosa vuoi dirmi: perché’ non le dico di smetterla, perché’ non cambio telefono, casa, vita. Semplicemente non posso. Non posso farne a meno. Mi sveglio ogni mattina, e tutto e’ cosi’ grigio. Ma so che di li’ a poco lei mi descriverà quella nebbiolina che si alzo’ improvvisamente alle 17,30 del 30 Marzo del ’74, e il bacio leggero che sfioro’ le nostre labbra…E tutto si colora! Di nebbia, di ricordi… E una vertigine mi stringe lo stomaco…”

“Nessun problema, amico. Niente che non si possa cancellare con un’Alka-Seltzer. Anche se quello fosse stato il Grande Amore Della Tua Vita. L’Eldorado Del Batticuore. La Bibbia Del Cheek To Cheek. Non hai più sedici anni, Johnny. La vita va avanti. Ho il bar da vent’anni, e devo pur dire qualcosa ai clienti: ”Forse lei è stata il grande amore della tua vita, o forse no, ma che importa? Hai incontrato altre donne, giocate centinaia di partite, viste migliaia di albe…”

“No, non capisci, non sono semplici ricordi… sono pezzi di vita… le parole hanno quel gusto, e palpitano, solo per noi due, nel mondo, nell’anima…e nessuno, mai, nessuno, nessuno…”

L’occhio del tizio sparava lampi allucinati, la mano tremava sul bicchiere. Parlava, parlava. Sempre più concitato: ”Perché’ io posso dirti: – woodstock belforte alias – e per te sono parole senza senso!”

Ora stava gridando: ”Oppure senti questa:-TANDEM LENNY CILLO – NON CAPISCI, VERO? e se poi ti dicessi –  SOLARIS ALTOMARE – EH? CHE DIRESTI? EH?”

 “Che in altomare c’è di sicuro il tuo cervello, amico! Che mi stai raccontando? E’ normale che sia cosi’, sono ricordi VOSTRI !

 Certi imbecilli dopo il secondo whisky ridiventano bambini, e allora vai a fargli capire che e’ arrivato il momento del conto! Accasciato sullo sgabello il pazzo digrignava suoni senza senso, in un singhiozzo febbricitante: ”Cava! cava, Santanna! VentiVentisei, venti, portobello…AH! Marcord, marcord…”.

 Dovevo prendere in mano la situazione.

“Senti, bello. Io ora vado a pulire il bagno. Intanto ti ho fatto il conto – sono tre whisky, giusto? – tu paga, e quando torno non ti voglio più qui. Nel mio locale non ho bisogno di un nonno dei fiori in overdose da madeleine. Fuori c’è il mare. Vai a cercare la tua pusher di ricordi. La posta del cuore chiude. Basta.”
Entrai nel bagno, sentivo schegge di elettricità sulla punta delle dita. Respirai profondamente, mi accesi lentamente una paglia. Diamine, non ne potevo più del tizio. Ma che si credeva, di essere l’unico al mondo ad aver avuto un primo amore? Alla sua età bisognerebbe essere un po’ più posati, dico io. E curare il prato del giardino. Il bagno di un bar davanti al mare ha sempre una piccola finestra, nella quale ci sono delle piccole imposte che hanno delle piccole fessure. E tu puoi avvicinare l’occhio a una piccola fessura. E vedere l’infinito. Ma vicino all’infinito quel giorno c’era qualcosa: una scritta. Una calligrafia un po’ incerta aveva tracciato delle parole con il lapis, una specie di filastrocca, o cosi’ sembrava:

                                       Adios muchacha

                                       grazie per la tua piccola malinconia

                                       e per la pioggia

                                       per tutti i cinema

                                       per il telefono

                                       e per l’allegria            

                                       e per le scale tristi di musica

                                       e per la dolce periferia       

                                       ( e grazie ancora )

                                       per le canzoni   

                                       e per il mare

                                       per gli abbandoni

                                       e il ricordare

                                       e per il freddo

                                       il treno

                                       il cuore

                                       per la tua voce e per le tue mani

                                       e per quel sogno, e per quel rumore

                                       nel sottofondo di ciò che fu il domani…

                                       il grande mondo e noi

                                       lontani

                                       fra noi il mare ma…

                                       una stella luminosa nel buio della notte

                                       – rondini in volo di fantasia!

                                       Adios muchacha

                                       Grazie di tutto il niente

                                       E per quel tutto

                                       Che vola via

Tornai in sala: Il denaro era sul bancone, del tizio neanche l’ombra. ”Maledetto romantico” pensai – “ora mi toccherà anche di pulire il muro del bagno”, e sentii salire un brivido di freddo.
Il mare era sempre più scuro, e mancavano solo due giorni a Natale.

Gli uomini grigi

febbraio 27, 2017 § 5 commenti

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Nella città di Cieloalto, una mattina di Luglio, arrivarono degli strani individui: tutti uguali, vestiti di grigio e con un cappello storto in testa. Era la terribile banda dei ladri di favole!

Spruzzando in giro una polvere invisibile riuscivano a far sparire la fantasia, così la gente diventava troppo seria per raccontare favole e smetteva di farlo.

Poiché una favola esiste solo se qualcuno la racconta, accadeva che fate e principi, folletti e pirati, perdevano la loro casa. Una vera tragedia! Nessuno, tuttavia, sembrava preoccuparsi di questo. Per gli adulti, si sa, la fantasia non è poi così importante! Ma Angiolina, la bimba più riccioluta e testarda della città, non riusciva a rassegnarsi. A lei un mondo senza fantasia non piaceva affatto. La piccola adorava le favole. Per lei erano come aquiloni scappati dal filo: ogni volta che ne leggeva una si sentiva trascinare in alto nell’azzurro del cielo, poteva perfino incontrare gli uccelli e parlare con loro, arrampicarsi su una nuvola e sentire il sibilo del vento fra i capelli. Una volta arrivata lassù, la Terra le appariva tonda e minuscola come una biglia e perfino i problemi diventavano talmente piccoli che ……sparivano.

bimba

Con   l’arrivo  degli  uomini  grigi,  però,  la   fantasia rischiava di svanire per sempre e questo avrebbe portato conseguenze disastrose. C’erano già i primi segnali: le cassiere al supermercato non regalavano più caramelle, i gatti non miagolavano sotto la luna, il postino aveva smesso di canticchiare in bicicletta. Tutti erano diventati troppo seri e nervosi, senza entusiasmo. Dunque, bisognava assolutamente fermare quella banda di ladroni! La bimba provò subito a parlarne con suo padre, ma si sentì rispondere: – Se in giro ci sono dei  ladri, l’importante è che non rubino il nostro denaro!-

brutti

Si rivolse anche alla polizia, ma le fu spiegato che nessuna legge puniva quel tipo di furto. Sui giornali, poi, nemmeno una parola della faccenda. Insomma tutti, proprio tutti, erano convinti che rubare favole non fosse cosa grave. Una sera, però, accadde qualcosa di bizzarro. Mentre era nella sua stanzetta, Angiolina sentì un rumore provenire dall’armadio. Aprì le ante e vide un’ombra muoversi fra i vestiti.

Guardò meglio e si accorse che c’era un bambino  avvolto in un mantello di velluto rosso, con una corona lucente sul capo e lo sguardo spaventato.

– Chi sei?- gli chiese stupita

– Sono il principe di una fiaba, per favore non mandarmi via!- rispose il piccolo intruso.

Da quando gli uomini grigi avevano rubato la sua favola, il poveretto vagava alla ricerca di una dimora.  Angiolina rimase davvero sorpresa e la curiosità si impadronì di lei al punto che le venne in mente di conoscere anche altri personaggi. Chiese, dunque, al piccolo sventurato di presentarle tutti i suoi amici. Il principe acconsentì e, senza perder tempo, i due si calarono giù   dalla   finestra   scivolando svelti come scoiattoli lungo il cornicione. Era una notte davvero magica, una di quelle in cui può accadere di tutto. Il principino condusse Angiolina in un luogo segreto, un vicolo buio dove non c’era anima viva, tranne quattro gatti smilzi e spelacchiati che inseguivano un topolino. In fondo, proprio dietro ai bidoni dell’immondizia c’era una enorme porta di legno. Afferrata la maniglia, il principino bussò con forza e poco dopo un omone alto e robusto venne ad aprire……e Angiolina si trovò immersa in una: storia d’amore….

castello

Nella collina più alta della terra di nessuno, viveva i principe della parola, era bello, con i capelli d’argento! Ogni sera parlava d’amore alla luna, nei suoi bei vestiti, circondato dal suo nulla di platino. Ogni sera un “ti amo” diverso, più intenso, più triste.

Una notte la luna non andò all’appuntamento con il principe della parola e lo lascio nel  buio più assoluto…ad un certo punto, nella foresta, udì un pianto leggero e il principe disse: “Chi è là? Messere, fatevi vedere! Io di questa collina sono il principe e unico proprietario!”

Il pianto cessò e una voce disse “non essere messere…io essere serva mi…perdetti… piango…ho paura…e voi principe…date una mano…aiuto…ho bisogno di aiuto….”

Il principe disse: “Vi devo vedere, ma è buio!”  Allora la luna fece capolino e illuminò il viso dell’analfabeta,  una donna vestita di stracci, delicata ma spaventata e affamata d’amore!

Lui si illuminò e pensò “se aiuto lei, aiuterò me e sarò meno solo…”

Sempre aiutato dalla luna , il principe fece entrare la ragazza nel suo castello. Accese le torce , chiamo due serve che l’aiutassero a fare un bagno e attese impaziente con la mente sognante. Certo qualcuno mi ha mandato questa giovine fanciulla, non può essersi smarrita ma come farò a conquistarla?… Finalmente la fanciulla venne portata al suo cospetto , vestita con dei lunghi veli bianchi avvolti al suo corpo.
“Dolce fanciulla da dove vieni? Quale è il tuo nome?”
“Vengo da un posto molto lontano , lontano e il mio nome è Selene”
Il principe faceva correre i suoi occhi sulle forme della fanciulla , ammirava estasiato le sue carni bianche i suoi occhi luminosi.
“Io non ti conosco o principe , come conosco poco di questi posti in cui non sono mai stata”
“Ti mostrerò tutto quello che è da mostrare”
La fanciulla aggiunse “ma io conosco poco sia della vita che della poesia sono praticamente analfabeta”
Il principe la sentiva parlare con voce dolce e sentiva che il suo essere solo avrebbe avuto una fine , era lei la donna che aspettava , che voleva.
Il principe le stava accanto e le raccontava della vita , della poesia e dell’amore.


La fanciulla assorbiva avida ogni insegnamento e passavano i giorni nelle stanze del castello.
Il principe le regalò dei favolosi vestiti e chiedeva a Selene di accompagnarlo per le sue terre perché i suoi sudditi potessero vederla ma lei continuava a rimandare dicendo che non era pronta. Di giorno Selene stava nelle stanze più interne sempre avvolta nella semioscurità mentre la notte scendeva nel salone e dopo cena passava le ore a conversare con il principe nel parco fino a tarda ora.
Selene apprendeva rapidamente e il suo linguaggio diventava forbito come quello del principe.
Il principe era sempre più innamorato e avrebbe voluto mostrare il suo amore anche agli altri e le chiedeva ” Selene perché domani non ti metti il vestito più bello e facciamo il giro dei villaggi ”
“Principe ho la pelle delicata e la luce del sole potrebbe farmi male”
“Selene , anche il sole dovrebbe inchinarsi alla tua bellezza”

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A quelle parole alcune lacrime incominciarono a scendere dal volto della fanciulla e si persero nell’erba del giardino.
Il principe insisteva “Voglio che tutti ti vedano ed ammirino la tua bellezza”
“Principe per dimostrarti il mio amore verrò”
Il giorno dopo il principe era pervaso da una strana euforia ed attendeva impaziente che la fanciulla scendesse al suo cospetto.
Salirono su una carrozza scoperta e iniziarono la discesa verso il primo villaggio, mentre il sole appariva dietro le colline.
Il principe guardava affascinato la fanciulla e vedeva la sua pelle farsi sempre più diafana fino quasi a scomparire ed improvvisamente svanì.
Il principe disperato non sapeva darsi pace e ritornò al castello in preda alla disperazione .
La ore scorsero lente e calò la notte .
Una notte buia e scura ,il principe camminava nel giardino pensando a dove potesse essere Selene e perché l’avesse persa.
Il suo sguardo venne attratto da alcune piccole sfere bianche e luminose tra l’erba. Era esattamente lo stesso punto dove la notte prima Selene aveva pianto.
Il principe raccolse quelle piccole sfere , erano perle di luce …le teneva sul palmo della mano e sembrava pulsassero di luce propria .
Poi dalle colline spuntò la luna e le sfere si spensero , il principe levò lo sguardo al cielo e la luna gli sorrise…il principe capì quello che era successo …
La luna si era innamorata di lui , ma con il suo egoismo l’aveva perduta.

Il principe pianse tutta la notte disperato per la perdita e la mattina salì sul suo cavallo per vagare tra i campi , qui vide una fanciulla che accompagnava il suo gregge. Una cascata di riccioli d’oro risplendeva al sole , la pelle era di seta ,abbronzata , gli occhi due fari che illuminavano il volto.

Questo era quello che cercava ..una fanciulla reale e non un sogno.

La portò al suo castello e la chiese in sposa e vissero felici e ………….

Angiolina ammaliata da questa favola riguadagnò l’uscita dal mondo fatato e tornata nella città di Cieloalto andò all’emittente radio e dai microfoni di “RadioLuna” raccontò a tutti la fiaba e gli uomini grigi furono sconfitti e ritornò l’allegria e la fantasia.

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The end

Per questa favola devo ringraziare una vecchia amica

Posti e strade

febbraio 20, 2017 § 3 commenti

 

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Il marciapiede era sconnesso , stretto , le pietre si muovevano sotto ai piedi. L’equilibrio era difficile da mantenere , proprio come nella vita. Il portone era lì, con quei quattro scalini sbrecciati, non avevo voglia di entrare. Era ancora buio. C’erano rumori strani, rumori che di giorno non si sentono. Cercavo di trovarne l’origine, come se fossero rumori di una evoluzione , di un qualcosa che nasce , come fossero pensieri del giorno prima rimasti indietro e adesso si davano da fare per raggiungere il mondo, e arrivare puntuali all’alba, facevano rumore per farsi sentire, per non perdersi. C’è sempre qualcosa che si perde per strada, anzi molto si perde sulla nostra strada e molto si trova ma spesso non si trova neanche la strada. Alcuni restano immobili e aspettano la felicità, girano in tondo, non si finisce da nessuna parte così.
Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte ; ma dove ? nessuno lo sa , tutte quelle storie sulla tua strada. Trovare la tua strada. andare per la tua strada e in fondo cosa trovi, una pentola colma di monete d’oro? Alcuni invece sono fatti per vivere fermi a un crocicchio a far passare la vita e a vedere passare quella degli altri .

Seduto su questi scalini freddi penso alla mia strada percorsa, ai paesi vissuti, alle persone che ho conosciuto a quello che ho preso, a quello che ho dato a dove sono arrivato, ma dove sono arrivato? In nessun posto.

io sono un posto….

Per quanto vai lontano sei sempre tu , non puoi sfuggire a te stesso…mi alzo e apro quel portone alle mie spalle …ed ecco il mio posto….i miei rumori.. i miei pensieri.

Io sono un posto e apro la porta a chi va e chi viene , dovunque vado il mio posto è con me .

Cambiare musica

febbraio 17, 2017 § 3 commenti

Samba o Blues

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Seduto nel soggiorno, guardavo i suoi movimenti eleganti senza affettazione, una eleganza innata , addestrata e perfezionata e mai dimenticata.
Si muoveva sicura e sotto le sue vesti indovinavo i suoi fianchi , la sua carne soda, le braccia tornite. Pensavo ai mesi trascorsi insieme che erano passati veloci , intensi e a quel giorno in cui si era rotto qualcosa, ma era inevitabile , prima o poi doveva succedere, era solo questione di tempo .Fino ad allora avevo evitato di pensarci, lo avevo escluso dai miei pensieri ma quella frase gettata lì mi aveva creato un attimo di panico, avevo evitato la risposta , avevo preso tempo ma era come se si fosse evidenziata la data di scadenza e bisognava prenderne coscienza. La sentivo parlare, modulando la voce come se volesse compensare quel diaframma che era sorto tra noi , una sorta di disagio. Il ritmo del samba copriva i rumori di fondo era stato la colonna sonora che ci aveva accompagnato. Rispondevo con monosillabi alla sua conversazione , evitavo di guardarla negli occhi dove leggevo la sua muta domanda e a quella non avevo risposte era meglio rispondere a parole. La mia mente fuggiva lontano , non ero più lì forse sarebbe stato meglio che anch’io non fossi più lì.
Avrei evitato giustificazioni , scuse, omissioni, banalità ma qualcosa mi tratteneva , qualcosa che ogni giorno si assottigliava , si usurava, si logorava. Ogni volta che non riuscivo a distogliere lo sguardo e leggevo la sua muta domanda qualcosa insorgeva dentro di me , una sorta di rabbia verso me stesso , qualcosa che mi faceva domandare: “ma cosa ci faccio qua ?”. Il travaglio interiore proseguiva e il piacere di condividere si era trasformato in sofferenza. Una notte quel qualcosa si fece chiaro, nitido , scacciò il sonno e si trasformò in frenesia.
Buttai alla rinfusa le mie cose in una valigia .Scrissi alcune righe, perché a volte è più facile scrivere che parlare. Parole dure come pietre, forse per farmi odiare , forse per evitare che ci fossero ripensamenti, forse per evitare di farle ancora più male. Fuggii come un codardo verso approdi conosciuti, abbandonando un fuoco ormai spento che mi ghiacciava l’anima.

Avevo bisogno di “Blues” per ritornare ad essere in me.

Settembre

settembre 11, 2012 § 30 commenti

Ti vedo all’angolo dell’incrocio la tua figura si staglia contro il muro bianco ,non mi hai ancora visto e sul tuo viso c’è una espressione altera e seriosa…….. mi vedi e ti illumini ..i tuoi occhi brillano, la pieghetta vicino alle labbra guizza mentre mi racconti le ultime novità .Ci avviamo verso il promontorio e la risacca del mare si fa più intensa .Affrontiamo la salita tenendoci per mano e con piglio deciso ,il mare appare improvvisamente sotto di noi che si infrange violento sugli scogli, lontano nel cielo appare una massa nera che si avvicina ,è settembre sarà una burrasca.

Ci fermiamo e dopo questo spettacolo mi aspetta il profondo dei tuoi occhi ,ti avvicini ed il tuo seno segue il ritmo dei tuoi ansimi ,dalla scollatura intravedo il tuo reggiseno nero….. aderisci il tuo corpo al mio …socchiudi le labbra………

Scendiamo verso la spiaggia per un sentiero tortuoso che porta i segni dei passaggi nell’estate agli sgoccioli, la spiaggia è poco popolata ed è facile trovare un posto appartato.

Stendiamo i nostri teli e mi guardo in giro per darmi il tempo di guardarti mentre ti spogli, cosa che tu fai con lentezza quasi per farmi assaporare il momento. Ci tuffiamo nel mare incrociando l’onda che ci sommerge , sbuchiamo dall’altra parte e ci facciamo cullare dai cavalloni.

L’acqua non è proprio calda e presto il freddo ci fa venire le labbra blu….usciamo e cerchiamo di scaldarci al tiepido sole. La burrasca ha cambiato direzione e si allontana sul mare, uno stormo di gabbiani ci cala in picchiata virando sul pelo del mare con in bocca la preda, tra le onde si vede una macchia in movimento e gli uccelli si tuffano a ripetizione nel banco fino ad essere satolli.

Coloro che hanno cercato di indagare sull’indole delle onde sostengono che ce ne sono di quelle che si sono mosse da più di un secolo, e continuano a provenire da Dio sa dove. Per chi guarda la superficie del mare , fintanto che non è troppo mosso, è difficile credere che abbiano una direzione stabilita o che la possano conservare. Quando spuntano infine , i bambini e gli adulti osservano la loro successione mettendosi a contarle e domandandosi quale sarà la più forte e la più alta, la prima o la terza , o la terza e la settima, come andrà a frangersi la nona o quale dovrà essere l’ultima. Finite sul fondo del mare, già informi, stanche e forse invecchiate, esse non si possono più riconoscere né seguire né cavalcare scivolando sulla cresta , anticipandole nella depressione……si ……non si può neanche più cavalcare quelle fresche generate dal vento ……….questo è un fatto.

Un soffio di vento mi lancia della sabbia addosso ,mi riprendo dal mio torpore …..apro gli occhi…tu sei sdraiata vicino a me, il tuo due pezzi ridotto ai minimi termini in maniera da mettere al sole il più possibile di centimetri quadri di pelle …….a settembre il mare non è il massimo ….ti lascia sempre quell’espressione insoddisfatta . La temperatura non è sempre tale da permetterti di stare in costume sulla spiaggia e il maestrale che batte sulla costa raffredda i bollenti spiriti. Ci siamo posizionati dietro a una duna di sabbia per proteggerci dal vento e dagli sguardi degli ultimi bagnanti che si attardano a prendere gli ultimi raggi di un sole che si nasconde dietro ai monti e apre il suo sacco di rosso sul mare increspato. Le ombre lunghe di cespugli di erica che il secco dell’estate ha ridotto a ragnatele sfilacciate dal vento ci stanno per ghermire. I nostri vicini raccolgono le loro cianfrusaglie e si avviano verso la strada ,la spiaggia è praticamente deserta…….un brivido ti percorre e la pelle si increspa, ti avvicini a me ed io ti butto sopra un telo ma i brividi mi percorrono la schiena come cavalli nella spuma ,mi stringo a te e tu  mi stringi tra le tue gambe e mi accogli sotto il telo. Lentamente ci trasmettiamo calore e ci ripariamo, la pelle si rilassa e il respiro si regolarizza, stiamo bene così vicini , stretti , fusi uno con l’altra. Cerco la tua bocca tra i capelli che ti oscurano il viso, il sapore del sale è piacevole e finalmente trovo le tue labbra….un bacio dolce e un sussurro……il tempo è finito …

dobbiamo andare…….

Dove sono?

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