Assenza
marzo 10, 2017 § 7 commenti
L’assenza ha qualche parentela con la morte, manca qualcosa , una parte di te. Un giorno c’è , il giorno dopo non c’è più.
Che cosa accade a una casa dove si sente una assenza? La casa ,naturalmente, resterebbe la stessa, non sarebbe consapevole di quanto è accaduto. I muri restano al loro posto. Le porte, pronte per essere aperte e chiuse. Piatti e bicchieri , sempre disponibili, anche se non ci fosse più nessuno a usarli per mangiare e bere.
Se manchi tu è come se nessuno vivesse qua.
Le poltrone restano immobili, pronte a servire chiunque vuole sedersi. Le lancette dell’orologio continuano ad andare avanti, con lo stesso tic tac immutabile, ricominciare il loro giro a mezzanotte, come se il giorno finito non ci fosse mai stato. Questa mattina ho voglia di rimanere a letto e guardo fuori dalla finestra , ascolto il vento, lo sento passare con un fruscio tra gli alberi e invidio i rami per la loro pazienza.
Sento prepotente la tua assenza , è quasi un male fisico.
Guardo la pallida luce del sole che tenta di aprirsi un varco tra le nuvole , senza riuscirci.
Mi chiedo quale sia lo scopo di tutto quello che accade, di questo infinito ripetersi.
C’è stato un tempo che al mio risveglio sentivo il profumo del caffè, sentivo il tuo canticchiare lontano, il tintinnio delle tazze, il profumo dei croissant . Anche questi odori sono scomparsi , quei piccoli rumori. Stamattina la casa è silenziosa , non ha odori , nessun tipo di odore neanche cattivo sembra asettica . Il cuscino dalla tua parte ha perso la tua impronta, mi mancano le tue calze gettate sulla poltroncina , i tuoi braccialetti sparsi sul comodino, tutto questo ordine mi opprime.
Cerco di captare un leggero profumo di te, anche solo una sensazione di te ma il vuoto impera.
Mi alzo e sento il freddo sotto alla pianta del piede , mi fa salire un leggero brivido che mi fa sentire vivo.
Il sole ha vinto la sua battaglia e splende , la nuvole sono un vago ricordo.
Entro nel salone e il mio sguardo cade sulla tua pianta che giganteggia di fronte alla finestra, due splendidi fiori sono sbocciati nella notte.
La tua pianta è fiorita anche senza di te , tutte le notti finiscono al mattino.
Non ti aspetto ..più ,vado via..per sempre
febbraio 15, 2017 § 8 commenti
Il tempo è finito, la scadenza è imminente , quella scadenza più volte rinviata , sospesa.
Le mille scuse create , le giustificazioni che ti ho trovato, il beneficio del dubbio.
Il sorriso sul tuo volto ha acceso le mie speranze le mie illusioni. La parte razionale di me ha pensato “che persona educata “, la parte fantastica ha pensato “ha qualche interesse per me”. Ogni volta gioco ai dadi con me stesso, tento la sorte e baro.
“ Se ha la gonna forse verrà all’appuntamento”
“ Se cammina sul marciapiede destro ho buone speranze”
Ai miei inviti lei è sempre vaga , mi lascia sempre un mare di speranze insoddisfatte.
Aspetto per ore e lei non si presenta, penso alle scuse che cercherà per giustificarsi ma lei non si scusa mai.
La mia parte razionale lotta strenuamente ma inutilmente ho sempre un milione di motivi per soffocarla.
Spesso fisso delle date di termine , le aspetto con ansia cerco un segno tangibile …mille segni evanescenti. Le ore scorrono liquide fisso il tempo ultimo lo aspetto come se fosse il giorno della liberazione mi sembra che oltre ci sia il baratro . Minuto dopo minuto mi sembra il lento incedere di una galea diretta verso le colonne D’Ercole dove oltre c’è solo il buio …territori sconosciuti.
Ti incontro e la tua vista mi fa battere forte il cuore , spillo le ultime gocce di coraggio e ti chiedo un appuntamento a breve termine, non posso più aspettare . Tu non neghi ma come al solito sei enigmatica .
“ non c’è più tempo per il tempo”
Ultima occasione, i pensieri sono come spilli, se alle 20,00 non sarai lì me ne farò una ragione (se ne avrò ancora di ragione).
Alle 20,00 mi ritrovo a picchiettare con le dita sul tavolo del bar davanti a un bicchiere già vuoto , gli occhi saltellano dalle lancette dell’orologio alla strada. La mente elabora mille scuse per dilatare il termine ultimo “e se realmente questa volta avesse avuto un impedimento serio, non posso buttare all’aria tutto”.
Alle 22,00 nessun impedimento può essere sufficientemente serio, la tensione si allenta , la mente improvvisamente si fa serena e ripercorre le varie fasi delle ultime settimane e un sorriso piega leggermente gli angoli della bocca affiora dalle nebbie un pensiero che allarga il sorriso e lo trasforma in risata. La cameriera mi guarda preoccupata e ne approfitto per chiedere il conto…ritorno me stesso.
“non ti aspetto più …vado via …per sempre…”
Marilù
luglio 23, 2012 § 20 commenti
Marilù Un matrimonio imperfetto
Caro Mario, non so se farai come con molte delle altre lettere che a suo tempo negli ultimi dieci anni del nostro ventennale matrimonio, ho avuto bisogno di scriverti: lettere che contenevano le “mie ragioni” nei tuoi confronti e che ti mandavo sperando in un dialogo, un confronto in cui ognuno dei due, facendo sue anche le ragioni dell’altro, si mostrasse desideroso e capace di trovare una sintesi soddisfacente per entrambi. Forse butterai anche questa come tutte le altre. Pazienza. Sappi almeno, se riuscirai ad arrivare sin qui, che il decidermi a scriverti contiene una cosa importante: uno scatto di ribellione alla rassegnazione che, come ben sai, non è un sentimento positivo con il quale convivere e far convivere gli altri.
Mi spiace, perché vedo che non stai bene, combatti in silenzio contro una serpeggiante depressione alla quale non sei abituato a dare parole per farti davvero aiutare. Chissà, forse per come sei fatto, non vuoi neanche riconoscerla.
Vorrei. Vorrei che insieme fossimo capaci di uscire dal tunnel che è tuo, ma che è mio persino da un numero maggiore di anni. Vorrei che le “parole fossero fra noi leggere” (non mi ricordo chi l’ha scritto), e che riuscissimo a vivere anche la vita con maggiore leggerezza. Vorrei che fossimo capaci di desiderare ancora un po’ di felicità, di gioco e di spensieratezza: la vita come la sto e la stiamo vivendo insieme da un bel po’ di anni, mi è diventata pesante, e non mi piace accettarla così, senza far niente per migliorarla un po’.
Vorrei non combattere con te su qualsiasi argomento: E questo significa che vorrei che tu fossi più rilassato e non perennemente in guardia.
Vorrei che questo tempo, il tempo della nostra pensione / come continua a sembrarmi brutta questa parola / un tempo che tutti e due cerchiamo un po’ nevroticamente di riempire, terrorizzati dalla paura del vuoto, fosse anche un tempo di “servizio” l’uno nei confronti dell’altro.
Vorrei che tu provassi piacere ad aiutarmi. Vorrei che invece di soffrire e sentirti così spesso offeso, solo e non capito, tu ti vedessi dall’altra parte dello specchio e riuscissi a ridere un po di te.
Vorrei che tu ogni tanto mi chiedessi scusa. Scusa per non avermi vista, non avermi aiutata al momento giusto, non essermi stato vicino come e quando mi sarebbe servito da morire, non avermi fatto piangere fino a non poterne più sulla tua spalla quando ne avrei avuto bisogno, e ridere in un momento successivo. Scusarti per non avermi rispettata, per avermi sempre costretta a fare i conti con il tuo bisogno di affermazione, espressione della tua insicurezza. Vorrei che tu mi chiedessi scusa per pensare così poco al mio piacere di vivere, anche perché non riesci, non sei mai stato capace di pensare al tuo. Vorrei che tu fossi capace di essere, non dico sempre, qualche volta, più generoso nei miei confronti.
Vorrei sentirmi meno sola
Vorrei essere più felice
Non lo sono.
Io non ho più tempo per aspettare. E non ne ho più voglia. Non ho voglia di sopportarti anziché essere felice con te. Non ho più voglia di stare con te e di sforzarmi di capirti e accettarti ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Io sono una persona piena di difetti, lo so. Ma ho bisogno di qualcuno che sorrida con me anche di quelli.
Comincia a pensare a come regolare la situazione. Me ne vado
Maria Pia
luglio 5, 2012 § 28 commenti
Maria Pia Libertà di espressione
Sono un’intellettuale, svolgo un lavoro intellettuale. Tutti i compagni che ho avuto, non tantissimi per la verità, sono stati degli intellettuali, anche quest’ultimo: ha qualche anno più di me, ma non tantissimi come potrebbe sembrare. Perché io, a differenza di lui che non ne ha bisogno – qualche ritocchino ogni tanto, per togliermi qualche anno, l’ho fatto. Per carità, non come le attrici che a cinquanta ne dimostrano trenta: io sono andata da un chirurgo di assoluta fiducia, ci siamo parlati, lui ha capito, e ci siamo accordati per togliermi, come ha detto lui, un po’ di stanchezza dal viso. Così una volta mi ha fatto gli occhi, poi il sottomento, poi ancora i contorni del viso, ma tutto in maniera quasi invisibile, non se n’è accorto nessuno, non l’ho detto a nessuno, neanche al mio compagno: l’unico risultato evidente è il “ma come stai bene” con cui mi accolgono tutti quando mi incontrano a teatro, alle mostre o alla presentazione di un libro. Si insomma, sto bene, nel senso di avere un bell’aspetto, l’aspetto di una che è riuscita a restare giovane, una che può, come io voglio restare “in pista”, continuare a fare il suo lavoro senza essere considerata vecchia e quindi fuori dal gioco. Come? Un’intellettuale non dovrebbe avere bisogno di questo? Ma chi l’ha detto?
Prima di decidere di andare dal chirurgo, ci ho pensato bene, eccome: ma poi ho capito che non c’era scelta, se volevo continuare ad esercitare il mio mestiere di intellettuale e vedermi riconosciuto il diritto ad esprimermi non c’era che il mio amico chirurgo. Ho sofferto un po’, ho speso un mucchio di soldi, ma ne valeva la pena.
Valentina 2°
giugno 9, 2012 § 19 commenti
Valentina Almost fetish
parte seconda
“Ma guarda dove vai, cretino!” I pensieri di Valentina si erano interrotti seccamente: qualcuno l’aveva urtata all’uscita, forse inavvertitamente, ma la brusca lacerazione dei suoi margini di sogno le avevano procurato una reazione violenta.
“Mi scusi signorina…stavo guardando da un’altra parte…”
“Scusi lei” pentita, aveva abbassato subito la guardia “ero anch’io soprappensiero…” era un bellissimo ragazzo, alto, moro, occhi verdi grandi…sorrideva leggermente imbarazzato. Che bella voce! Calda, calma…e sensuale!
“Le posso offrire qualcosa? Vorrei…non fraintenda, la prego…solo un caffè, a titolo di pacificazione…ho necessità di interrompere questi ritmi convulsi…tutti i giorni sempre e solo di corsa!”
Valentina era lusingata, incuriosita…”Ma che ti prende?” pensò “Uno sconosciuto…sì, ma è un caffè, cavolo, non ci devi mica andare a letto…ma che ti metti a pensare?”
“Va bene…io sono Valentina…piacere…vada per un caffè!”
“Alex, mi chiamo Alex, ci diamo del tu allora, per piacere…va bene quel bar?” indicò il bar di fronte, molto elegante: il bar del centro meglio frequentato ma, soprattutto, facevano un ottimo caffè…e servivano anche degli ottimi pasticcini, sempre freschi.
Pochi minuti e Valentina si ritrovò a conversare con una persona deliziosa: gentile, leggermente audace ma sempre con magnifico tatto, intelligente e pronto alla battuta.
“Sai Valentina, sei la prima persona piacevole che incontro da mesi…le solite frasi che si dicono, penserai…no, è davvero così, nel mio lavoro devi abituarti ad avere rapporti superficiali, rapidi e occasionali…scusa, non volevo imbarazzarti…sono abituato a dire quel che penso…”
“Che mani stupende!” pensava intanto Valentina “Non sei di qui, vero?”
“No, abito qui solo da una settimana, ma sono di un piccolo paese dell’Emilia, in provincia di Reggio…”
“Ti chiedo scusa Alex, ma io sto facendo davvero tardi…forse anche tu…adesso forse faccio la figura della sfacciata, ma mi piacerebbe rivederti…” era rossa in viso, ma ferma nella voce mentre lo diceva. Gli occhi di Alex si illuminarono: “Domani sera? O forse è troppo presto per…” lei lo interruppe…” Ok per domani sera…sì, domani sera va benissimo.”
Per un lungo attimo si guardarono negli occhi, sorridendo…poi si scambiarono i numeri di cellulare. Un po’ formalmente si strinsero la mano…”Ti chiamo io…domani prima di mezzogiorno, ok?” lo diceva mentre si allontanava…e Valentina fece cenno di sì con la testa…poi si girò per restare con se stessa e godersi il sorriso in intimità, un sorriso emozionato…”Mio dio! Perché non vedo già l’ora che sia domani sera?”
Valentina era ridotta ad uno straccio per le emozioni della giornata , non vedeva l’ora di farsi una bella doccia calda, lunga , tonificante.
Arrivata a casa si levò i vestiti lungo il corridoio che portava al bagno, fece scorrere l’acqua e intanto si guardava allo specchio.
Il corpo era tonico , seno alto e rigoglioso , pancia soda ….ripensava alla scena dell’arabo , delle sensazioni che le aveva procurato…entrò nella doccia e l’acqua che scorreva trascinava via il ricordo…ma si aprivano nuovi scenari.. Alex , belle mani , forti , spalle larghe …e il sorriso …si.. il sorriso lo aveva stampato nella mente e stranamente Valentina sentiva i muscoli del suo viso che erano atteggiati a sorriso , anche lei stava sorridendo …la schiuma bianca la copriva ma sotto sorrideva …
Per altri cinque minuti assaporò senza fretta l’acqua calda che scorreva accarezzandole il corpo, lasciando scivolar via la stanchezza di quella giornata; poi si concesse di nuovo all’abbraccio delle bollicine del suo bagnoschiuma. Ad occhi chiusi, con la mente, le mani e il corpo spalancati alle fantasie più audaci, si immaginò che Alex fosse lì: nudi, bagnati e legati in una soffice morsa che li spingeva insieme lungo un lento e stupendo crescendo wagneriano, verso il culmine dell’amplesso più magico della sua vita. D’improvviso si fermò per non oltrepassare il limite dell’immaginazione, e quel fuoco che le aveva infiammato tutto il corpo si estinse lentamente, cedendo ad una curiosa e gradevole sensazione di qualcosa di incompiuto. Finì di risciacquarsi dalla schiuma e uscì dalla doccia, in cinque minuti si asciugò i capelli, si tolse l’accappatoio e si infilò la camicia da notte.
“Ho sonno” pensò, “che giornata! Probabilmente dormirci sopra mi chiarirà le idee.” Si infilò nel letto e spense la luce sul comodino.
Sotto le lenzuola, ancora una volta il pensiero di Alex prese forma: le poche braci residue di quel magico momento sotto la doccia rischiavano di riattizzarsi, come alimentate da un getto di alcool puro…Valentina chiuse gli occhi sorridendo, e spense l’ultima fiamma una volta per tutte, cercando di prender sonno…
Alex si rigirava nel letto. Il gomitolo dei suoi pensieri era piuttosto intricato. Valentina…“E’ la prima volta dopo Francesca che sento un’attrazione così forte” pensava “e così diversa. Un’altra donna nella mia vita, innamorarmi ancora…I segnali ci sono, e sono ben chiari. Beh, sarà meglio che ci dorma sopra: che giornata!”
Sotto le lenzuola il pensiero di Valentina prese forma. Alex chiuse gli occhi sorridendo, sicuro di prendere sonno.
Gli accordi erano stati presi, la voce di Alex al telefono era ancora più sensuale che dal vivo, doveva solo prepararsi per la serata .
Mentre l’ora convenuta si avvicinava Valentina sentiva una leggera ansia che la attanagliava, ma dove era la donna in carriera sicura di se?
Certo non era un incontro d’affari , ma si immaginava gli sviluppi o meglio se li augurava. Rivedeva le sue mani forti ,il suo sorriso.
Alex pensava all’incontro che avrebbe avuto tra poco. Aveva dovuto lavorare fino all’ultimo e ora non aveva più tempo per scaricare le valige del campionario dalla sua station wagon ma non avrebbero certo intralciato il corso della serata , c’era giusto il tempo per una doccia e per cambiarsi .
Valentina osservava il suo volto riflesso nello specchio, il trucco risaltava i suoi occhi, li rendeva luminosi , i capelli erano acconciati splendidamente , le davano un’aria di classe leggermente selvaggia. Indossò un abito color fondo di bosco con un lungo spacco sulla coscia e una scollatura profonda che lasciava intravedere il solco del seno sodo. Calzò le sue nuove Dior che le diedero una carica incredibile . Erano veramente belle e si intonavano perfettamente. Quelle scarpe le davano una sicurezza, una spavalderia, si sentiva padrona di se stessa.
Alex attendeva già sotto il portone di Valentina, cercava di ricordarne le fattezze, ripassava i particolari ma parecchi erano sfuggenti. Il tempo dell’incontro era stato breve e lui era impegnato a mangiarsela con gli occhi piuttosto che a memorizzare i particolari.
Valentina spuntò dal portone si guardava intorno e appena lo inquadrò si diresse verso di lui.
Alex la guardava con ammirazione , era più bella di come se la ricordava , che portamento, che camminata sensuale, certo era stato fortunato ad incontrarla e che lei avesse accettato il suo appuntamento. Era vestita come una indossatrice e il suo pensiero vagò per un attimo
“Spero di non sfigurare con il mio completo formale e camicia bianca “ , poi il suo occhio clinico scese i basso e ammirò le caviglie affusolate e le scarpe , veramente di classe.
Alex scese per aprire la portiera del passeggero , si scambiarono un sorriso smagliante e si sfiorarono le guance.
Valentina salendo notò che nel vano posteriore erano accatastate tutta una serie di valige da campionario.
“Cosa sono?”
“Gli attrezzi del mio lavoro”
Valentina lasciò cadere l’argomento aveva altro a cui pensare.
Gli argomenti a cena scivolarono sugli affetti famigliari , sui viaggi .Valentina era sempre più ammagliata da quel giovane sicuro di se , con idee chiare e razionali
Alex la guardava ammirato , lei aveva un sorriso che lo inebriava si sentiva euforico e non era certo per le 2 dita di vino bevuto , doveva rimanere lucido. Lei era splendida , aveva sempre immaginato di frequentare una splendida donna così, la trovava perfetta.
Mentre sorseggiavano il caffè Valentina chiese:
“Ma tu che lavoro fai?”
“Il rappresentante di scarpe”
“Vuoi dire che tutte quelle valige sono piene di scarpe ?”
“Si , tutta la nuova collezione di Meliani”
Valentina ebbe un tuffo al cuore , senti le farfalle spandersi per lo stomaco, un calore le avvolse la nuca. Si stava innamorando.
Uscirono dal locale si avvicinarono alla macchina . Alex elaborava piani su dove sarebbero potuti andare
Pensava”La porto subito in camera?” “andiamo a bere qualcosa?” “Andiamo a sentire un po’ di musica?”
Valentina interruppe i suoi pensieri: “C’è qualcosa che non va?” “potresti farmi vedere parte della tua collezione?”
“Ma come qui in strada ?”
“Perché no? Sotto a quel lampione andrebbe benissimo”
Alex la guardò ,era magnifica perché non accontentarla? Scelse due valige e le apri. Valentina lo guardava estasiata , controllava le sue movenze , la sua grazia , era affascinata dalla sua disponibilità. La luce del lampione era perfetta , dava un alone che rendeva magico il momento. Mentre estraeva le scarpe e le liberava dal panno che le proteggeva Valentina lo guardava con l’occhio in trance , l’eccitazione la pervadeva si impossessava di lei, le mani erano percorse da un leggero tremito sentiva di non potersi più trattenere . Alex era vicino a lei , le mani si muovevano agili e disponevano le scarpe in ordine come gioielli. Valentina sentiva un groppo alla gola e con voce roca riuscì a produrre qualche parola “posso provarle? “.
Alex con un sorriso fece un cenno di assenso, Valentina si sedette sul muretto dell’aiola , si sfilò il suo paio di Dior e le tenne con 2 dita della mano sinistra . Alex le accarezzo leggermente la caviglia e le infilò uno splendido paio di Meliani fatte a mano. Valentina senti come un fitta , uno spasmo che si protraeva nel basso ventre , si alzò e sentiva le gambe molli . Il cuoio leggero le dava una sensazione di una carezza sensuale sulla pelle si sentiva spossata . In quel momento uno stridio di freni lacerò la notte , le luci bianco blu squarciavano il buio , due poliziotti scesero dall’auto veloci “Cosa succede qui?” . Alex farfugliava qualche scusa senza senso…
Valentina con le sue Dior in mano e le Meliani nei piedi disse:
“Passavo di qui” e si allontanò nella notte.
Fumo bianco…..dissolvenza
The end
Matilde
Maggio 27, 2012 § 39 commenti
Matilde Cattiva
Sono cattiva. Non sorrido, non piango e soprattutto non piagnucolo, non voglio essere e apparire debole, fragile e neppure simpatica: non mi interessa mettere gli altri a loro agio, mostrare tolleranza, per carità, dolcezza, gentilezza, arrendevolezza, modestia: tutto l’armamentario tradizionale del femminile non mi appartiene, e non voglio che mi appartenga. Mi ripugna: mi ripugnano i buoni, e i buonisti, con tutto il corollario della melassa dei buoni sentimenti.
Io sono aggressiva, ambiziosa, voglio emergere, non voglio solo essere accettata: voglio vincere. E vinco. Perché io sono brava, e gli altri me lo devono riconoscere eventualmente da sudditi, non da padroni che mi sorridono e ai quali sorrido per conquistare la loro simpatia. Io sono brava, e per affermarlo non chiedo permesso, scusi,mi dispiace, a nessuno. Sono brava, e basta. E ci credereste? Funziona.
Rosy
Maggio 14, 2012 § 43 commenti
È seduta ad un tavolino di un bar, in centro a Firenze, ci ha messo due ore a prepararsi per la serata che l’aspetta, depilazione minuziosa durante il bagno caldo e profumato di magnolia, crema idratante accuratamente spalmata su ogni centimetro del corpo, deodorante in stick che non macchia i vestiti, profumo delicato dietro le orecchie e sui polsi (Chanel n°5). Sta sorseggiando un aperitivo alcolico cercando di stemperare la tensione. Mentre l’alcool entra in circolo favorito dallo stomaco digiuno, visualizza nitidamente la propria figura al centro della piazza. Si vede dall’alto come un puntino nero, piccolo e immobile al centro di quella piazza freneticamente attiva. Sono le 18,30 e la città si sposta dai luoghi di lavoro a casa o da casa ai luoghi di incontro per l’aperitivo, i turisti che affollano in gruppi le strade di Firenze tutti i giorni dell’anno intralciano immancabilmente la camminata frettolosa dei fiorentini. Passano minuti interminabili, il bicchiere è vuoto ma è presto, non può muoversi da li fino alle 19,15 come le è stato ordinato e lei non trasgredisce mai agli ordini, per questo è molto ricercata. Rosaria, così si fa chiamare, è un avvocato nella vita reale, con la passione per i giochi erotici. Diversi anni or sono si è iscritta ad un sito per incontri particolari e da allora organizza serate di gioco con uomini accuratamente selezionati che la cercano per le sue doti di donna raffinata, docile, ubbidiente e indiscutibilmente interessante. È ora, Rosaria si alza e si incammina verso Corso Cavour, l’appuntamento è in Piazza San Marco davanti allo storico e omonimo bar. Quando lui le aveva dato appuntamento li si era chiesta se non avesse sbagliato città fino alla verifica dell’indirizzo in internet. Corso Cavour è una strada particolarmente trafficata, una delle poche vie del centro ancora percorribile in automobile. Non bastasse il traffico su ruote, anche i marciapiedi sono stretti e pieni di ostacoli: persone che si incrociano e si scontrano in continuazione, furgoncini parcheggiati in qualche modo con le quattro frecce accese che scaricano materiali e merci ai negozi, portoni di scuole, attività e uffici pubblici che espellono altra gente a ritmo regolare, la pavimentazione in porfido complica la camminata sui tacchi altissimi a stiletto che è stata costretta a mettere per l’occasione. Maledetto porfido! Un tacco si è incastrato in una fessura, ad un primo tentativo non accenna ad uscirne. Rosaria è costretta a fermarsi, accucciarsi ed estrarre il tacco con le mani attirando l’attenzione di chi ancora non si fosse accorto di lei. Non passava certo inosservata, l’abito nero e attillato che indossava mostrava anche più del necessario, il tessuto impalpabile di cui era fatto evidenziava qualsiasi piega della pelle, la brezza della serata autunnale le aveva fatto rizzare i capezzoli e la mancanza di intimo sotto il vestito non aiutava a nascondere la sua quarta di seno fortunatamente ancora sodo. Ecco fatto! Il tacco è libero, la camminata può proseguire verso la meta. In lontananza scorge un’auto scura, un’Audi station wagon nera, accostata al marciapiede di fronte ai tavolini del bar San Marco. È lui. Il riflesso delle luci sul vetro posteriore le impedisce di vedere che lui la sta già osservando dallo specchietto retrovisore e si gode la camminata sinuosa di quella donna che per quella serata è sua. Ad ogni passo le sue morbide natiche ondeggiano elegantemente alternandosi in un movimento davvero sensuale. Il seno libero traballa facendo capolino dalla profonda scollatura.
Un attimo di esitazione, afferra la maniglia cromata e apre la portiera. Lui fissa la gamba che precede quel corpo tanto attraente, la caviglia sottile accompagna la scarpa nera tacco 10, molto elegante. La coscia sinistra si adagia sul sedile in pelle chiara, lui alza lo sguardo e incontra un paio di occhi verdi, intensi, esaltati dal trucco marrone. Le prende la mano, la bacia sulle dita, ha labbra morbide e carnose, mette in moto. Sir Andersen, con questo nome si era presentato la prima volta nella messaggeria del sito, era un uomo alto, capelli brizzolati non molto folti, occhi verdi, sulla cinquantina. L’auto scorre veloce per le strade cittadine, è l’imbrunire, le insegne e i lampioni sono già accesi. Man mano si allontanano dal centro le abitazioni si diradano, imboccano una strada priva di illuminazione, in salita, tortuosa. Ad ogni curva i seni di Rosaria privi di sostegni artificiali seguono la forza centrifuga. Un certo imbarazzo aleggia nell’aria, lui sembra molto sicuro di se, non accenna una parola durante tutto il tragitto e il pensiero di lei si perde nelle mille aspettative sulla serata appena iniziata. Dopo l’ennesima curva l’auto svolta in una stradina ancor più piccola, sterrata, piena di buche, avvolta da una fitta boscaglia. Ma dove diavolo sta andando? L’ultima curva svela le luci di un parcheggio. L’auto si ferma, posteggia accanto ad una Mercedes chiara berlina. Nel silenzio Sir Andersen tende la mano destra con il palmo verso l’alto, vuole una cosa che lei ben conosce, vuole una prova, la prova che un altro ordine è stato diligentemente eseguito. Rosaria estrae dalla borsa gli slip in pizzo nero e li posa sul palmo aperto di lui. Un sorriso di soddisfazione colora il suo profilo interessante accennando una manciata di rughe sottili accanto allo sguardo deciso. Aprono all’unisono le portiere, scendono ed entrano nel ristorante. È un posto intimo, incantato, in cima ad una delle colline che circondano Firenze, un piccolo locale immerso nel verde e decorato con decine di luci sapientemente posizionate nel buio del giardino. Dentro le luci sono calde e soffuse, l’arredamento è elegante con un tocco rustico. I tavoli distribuiti nelle due piccole sale sono una ventina, ma occupati solo quattro, cinque con il loro arrivo. Una donna grezza e di poche parole, che stona con l’atmosfera romantica del locale, li accompagna al tavolo. Lui ne sceglie uno in fondo alla seconda sala. Mentre passano fra i tavoli gli uomini osservano Rosaria con la coda dell’occhio che ondeggia sinuosamente come sempre. Le loro donne non se ne accorgono, sono troppo impegnate a fissare Rosaria con curiosa invidia, “chi è lei e chi è lui?”. Sicuramente la coppia non passa inosservata, entrambi sono affascinanti, eleganti, magnetici. Si siedono e l’imbarazzo si impossessa nuovamente di Rosaria, non capisce, di solito non le capita. “Imbarazzata?” Rosaria accenna un si con il capo, ha gli occhi lucidi. “Cos’è? Sono io, è il ristorante?”. Non è niente, solo che Rosaria gioca sempre al chiuso, non ha mai organizzato una serata pubblica. “Tranquilla, sarà una serata speciale, puoi fermarmi quando vuoi” la sua voce è calda e rassicurante, le prende nuovamente la mano e la bacia sulle nocche.
Rosaria si sente osservata, alza lo sguardo e al di la del camino che divide le due sale una donna bionda e sciatta la fissa. Sir Andersen se ne accorge – “Ci penso io…” – estrae gli slip in pizzo dalla tasca dei pantaloni posandoli ben in vista sul tavolo. Li copre con una mano mentre ordina la cena per entrambi, poi la toglie nuovamente. La donna bionda li scorge e, sentendosi scoperta, smette di fissare Rosaria lanciandole un’occhiata solo di tanto in tanto, non può resistere alla curiosità di quella strana coppia. Gli slip restano sul tavolo finché la signora non arriva con i piatti di tagliolini al tartufo bianco. Mentre posa le pietanze sul tavolo li vede, finge di non capire o forse non capisce ma intuisce. Abbozza un sorriso e con discrezione si allontana. Mentre mangiano Sir Andersen la imbocca spesso attirando nuovamente l’attenzione dei presenti, il loro tavolo diffonde elettricità, energia. “Voglio una prova inequivocabile che non hai indossato nulla di intimo sotto l’abito” – Rosaria solleva il vestito fino all’anca, sporgendo la natica sinistra fuori dal bordo della seggiola, la pelle abbronzata e liscia non è interrotta da alcun capo d’abbigliamento intimo, si rimette seduta compostamente distendendo il bacino sotto il tavolo. Incrocia la gamba sinistra con la sua gamba destra, invitandolo. Lui insinua una mano sotto il tavolo facendola scorrere verso l’inguine di Rosaria fino a toccarle il sesso – “Fai finta di niente, continua a parlare sforzandoti di mantenere un tono naturale finché non smetto” – gioca con lei per qualche minuto. Arriva la signora con i secondi piatti. Senza staccare lo sguardo dagli occhi verdi di Rosaria ringrazia la signora e attende che si allontani. Toglie la mano da sotto il tavolo e con la stessa mano afferra un pezzo di verdura pastellata dal piatto, ne morde metà e imbocca lei con l’altra metà spingendo la mano fino ad infilarle in bocca la punta delle dita. Le sorride, la cena prosegue normalmente e come una normale coppia, commentano i presenti. Un paio di tavoli più in la c’è una coppia davvero pittoresca, sembrano usciti da un film di Verdone, stile ‘o famo strano in Viaggi di Nozze. Lui, palestrato, indossa una maglia aderente, rosa con disegni argento, lei fasciata in un paio di jeans sdruciti, un corpo non proprio modellato e una camicia elasticizzata che da l’effetto salame. Sono certamente una coppia clandestina, quando squilla il di lui cellulare dalla suoneria invadente risponde e con tono poco discreto informa l’interlocutrice, una certa amo’ di essere a casa in procinto di andare a dormire. Lei, dopo averlo ascoltato mentre dichiarava di non volere impegni e responsabilità di alcun genere, tenta di parlargli di se e come ogni donna al primo appuntamento lo investe con tutte le sue disavventure sentimentali facendo l’errore di scoppiare a piangere nel bel mezzo della cena. Non sarà una coppia di lunga durata. Nel frattempo il ristorante si è svuotato, sono gli ultimi due tavoli. E’ tempo di uscire. Sir Andersen, galantemente, ha già pagato, prende Rosaria per mano e la conduce fuori.
Un lungo bacio li trattiene nel parcheggio per qualche minuto, poi, nel silenzio, salgono in auto riprendendo la strada tortuosa di prima. Nel buio di quella notte limpida le luci di Firenze scintillano come diamanti al sole. “Toccati! E non smettere nemmeno quando saremo nuovamente illuminati dalle luci della città, nemmeno quando ci fermeremo ai semafori, non smettere finché non arriviamo” – lei, inebriata dal vino rosso non barricato bevuto in abbondanza durante la cena, solleva l’abito fino a scoprire le cosce, sente il freddo dei sedili in pelle beige a contatto con la sua pelle abbronzata, solleva la gamba destra e appoggia il piede sul cruscotto. Il respiro si fa sempre più carico, con gli occhi socchiusi scorge le luci dei semafori, i lampioni, la gente che chiacchiera ai bordi delle strade, le auto parcheggiate, tutto scorre veloce come nella scena accelerata di un film. Silenziosamente l’auto entra nel parcheggio di un albergo, Rosaria sente solo il rumore della ghiaia sotto le gomme dell’Audi. Sono le 23 e tutti gli ospiti tornano dalla cena o escono verso i locali, lei sale su di lui che resta al posto di guida, fanno l’amore come due adolescenti, senza parlare, baciandosi e accarezzandosi, la posizione è scomoda ma sembra non se ne accorgano. L’atmosfera è carica di erotismo, Rosaria non è abituata, di solito non si sente coinvolta ma c’è qualcosa di diverso, una dolcezza inaspettata. Sempre nel silenzio salgono in stanza, mano nella mano percorrono le scale strette e ripide della vecchia costruzione medioevale ristrutturata, i rumori della notte sono nitidi, le chiavi che entrano nella toppa, i passi, il fruscio dei vestiti. Si spogliano completamente e fanno l’amore di nuovo per ore, si assaggiano, si baciano, si toccano, si accarezzano. Dopo l’apice restano stesi con i corpi accaldati che aderiscono l’uno all’altro. Lui guarda l’orologio, la bacia sulla tempia, si alza e si riveste. La sua vita è a casa che lo aspetta, lei lo sa, era preparata, o così pensava. Una lacrima le solca il viso mentre sente la porta che si apre e si chiude, i passi sulle scale si allontanano, il rumore dell’auto che si accende e sfuma scomparendo nella notte.
Rosaria si alza , schiaccia il bottone “on” un leggero ronzio accompagna lo schiarirsi dello schermo, la pagina della chat si apre . Gli occhi corrono sulla lista dei nick , cerca di immaginare la figura che si cela dietro a quei nomi improbabili, la mano corre ad accarezzare la gota e rimuove la leggera traccia di umido. Bando alla malinconia ,
Rosy è tornata in pista , si apre a caccia.
Caterina
Maggio 4, 2012 § 11 commenti
Piccola serie di racconti: “Donne si raccontano”
6°
Caterina La seconda
L’ho incontrato a metà strada tra i miei venti e trent’anni, lui viaggiava già verso i cinquanta. Sposato, con un figlio, ma non me lo ha mai detto: ho dovuto scoprirlo da sola, insospettita dalle sue assenze soprattutto nei fine settimana e durante le feste cosiddette comandate. Vergognandomi come un cane, ho dovuto mettergli alle calcagna un investigatore privato. Ne ho ricavato le notizie che oggi ho, e il suo vero indirizzo, che non mi aveva mai dato. E per un po’ ha continuato a negare anche di fronte all’evidenza dei fatti.
L’ho conosciuto a una mostra. Io volevo fare l’artista, lui lo era già: famoso e molto ben “collegato”, come si dice oggi, vale a dire potente. Non so se ero affascinata da lui o dal suo successo, certo è che il fatto che lui mi prendesse in considerazione, mi ascoltasse con attenzione persino esagerata, esaminasse con scrupolo i miei tentativi di esprimermi con il suo stesso linguaggio, fornendomi suggerimenti e consigli, me lo rendeva indispensabile: di qualunque cosa sia fatto l’amore – interesse, sudditanza psicologica, necessità di protezione – io ero innamorata. E lo sono ancora, a trent’anni di distanza. Riesce sempre a incantarmi, a sorprendermi, continua a farmi sentire allieva di fronte al maestro. Ho bisogno di lui, delle sue vittorie, della sua notorietà, del suo indiscusso successo. Forse ho anche bisogno delle sue bugie, della sua doppiezza, della sua straordinaria capacità di cavalcare tutte le onde restando sempre a galla: insegnami come si fa….E perciò ho accettato tutto: la moglie e il figlio, da cui non si è mai separato, e io sempre, da trent’anni la seconda.
Seconda nella vita, nelle vacanze, nei viaggi da fare insieme: se può e quando può e non può quasi mai: seconda nei fatti, e temo, anche nei pensieri. Da me non ha voluto un figlio: ne aveva già uno dalla moglie. Non mi vuole ovviamente nelle occasioni ufficiali, dato che io, ufficialmente non esisto. Non mi vuole nelle cene con amici che siano comuni a lui e alla moglie. Non ha mai voluto che andassi a trovarlo sul luogo di lavoro, dove tutti sanno, e tutti devono fingere di non sapere. Anche sua moglie sa, non può non saperlo, ma cuore di pietra, ha deciso di non sapere, di non voler sapere, chissà come ha fatto e come fa.
Sono trent’anni che stiamo insieme. Trent’anni che facciamo l’amore di nascosto, si fa per dire, visto che tutti ne sono al corrente. Non è stato un maestro: non sono affatto riuscita ad “usarlo” per rubargli i segreti del mestiere e affermarmi a mia volta. Non è stato, come ho detto, un marito, né lo sarà mai. Mi ha dato un ruolo, uno solo: quello della seconda, appunto. E da trent’anni, io vivo nell’ombra, accanto a lui, non la vita, la mia vita, ma la sua seconda vita. E lui mi dice sempre: “Ma vuoi mettere quanto è più bello, più vero, questo nostro rapporto senza ufficialità, questa scelta reciproca che rifacciamo ogni giorno, uguale, da trent’anni……”.
Silvia
aprile 30, 2012 § 9 commenti
Piccola serie di racconti :”Donne si raccontano”
5°
Silvia Poesie al call-center
Mi piace spendere, e scrivere. Non posso spendere. Ma scrivo: sono almeno dieci anni che scrivo poesie. Non le pubblico, perché nessuno le vuole: le poesie non si vendono, dicono. Così solo riempiono i cassetti della mia scrivania. Di tanto in tanto partecipo a qualche concorso per dilettanti. Mi chiamano a leggerne una in pubblico e qualcuno mi applaude. La cosa mi rende felice, mi ridà entusiasmo e fiducia in me stessa, scrivo una nuova poesia. Lo faccio per me: bisogna pur regalarsi qualcosa. Sono laureata. Per vivere, anzi per sopravvivere, ho trovato lavoro in un call-center: settore sondaggi telefonici, quattro ore tutti i pomeriggi, sessantacinque centimetri di euro per ogni telefonata, più riesco a farne e più guadagno. A malapena riesco ad arrivare a settecento euro al mese. Ma c’è chi sta peggio di me: almeno io ho le mie poesie.
anche se le leggo solo io
Lucia
aprile 25, 2012 § 15 commenti
Lucia La prima e l’ultima
Lui mi ha tradita. Io no.
Lui credo che continui a tradirmi, ma io faccio finta di non saperlo: a che mi serve saperlo?
Infelici l’uno dell’altra siamo rimasti insieme. Sono venticinque anni che stiamo insieme. Prima era perché i figli erano piccoli e non volevamo, sapevamo che non era giusto,far pagare ai bambini il prezzo di una separazione. Poi i figli sono cresciuti, oggi sono indipendenti, sono anche usciti di casa. E noi siamo ancora insieme. Siamo anche arrivati a festeggiare con tutti gli amici, miei e suoi, le nozze d’argento: “auguri”, “evviva”. Tutti ci hanno portato il loro regalo: d’argento naturalmente: chi un braccialetto per me, chi un vaso, una coppa, un vassoio. E anche noi, davanti a tutti che ci applaudivano, ci siamo scambiati un dono: una coppia di bicchieri d’argento, con incise le nostre iniziali, la data del nostro matrimonio e quella del “venticinquennale”. Ho un cassetto pieno zeppo dell’argento che testimonia la durata del nostro matrimonio.
Qua e là capita che mi interroghi, ma non più di tanto: una cosa che ho capito vivendo, è che qualche volta farsi troppe domande può essere pericoloso. Perché stiamo insieme? Perché siamo rimasti sposati? Che cosa abbiamo festeggiato con gli amici in occasione delle nozze d’argento?La forza dell’abitudine, la paura mia e sua, di ricominciare, o peggio, di rimanere da soli, il terrore degli avvocati, l’orrore di dover spartire la casa, i libri, i mobili, l’argenteria? Abbiamo brindato alla nostra vigliaccheria, o non invece al suo contrario, vale a dire il coraggio? E poi: ci vuole più coraggio a restare, o ad andarsene? Domande senza risposta: ognuno ha la sua.
La mia è nelle scelte concrete che ho fatto: sono qui con lui e lui è qui con me. E voglio che sia per sempre: altrimenti, a che cosa sono serviti tutta questa fatica, questo dolore,la depressione, a che sono servite anche le delusioni, le infedeltà, le reciproche bugie?
Adesso voglio continuare ad essere sua moglie, e voglio che lui continui ad essere mio marito. E qualche volta mi sorprendo, nelle cene con gli amici, durante le chiacchiere del dopo cena, a tessere le lodi del matrimonio “che dura”. Senza essere cattolica praticante, mi sono fatta in qualche modo sacerdotessa dell’indissolubilità, costi quel che costi: viviamo, come si legge dappertutto nella società della comunicazione, e allora a che serve fare le cose, se poi non si è capaci di farne partecipi gli altri? E poi, diciamo la verità, parlarne con gli altri, dire le cose ad alta voce, serve soprattutto a me stessa: sono io che devo convincermi di aver fatto bene, di far bene, di essere nel giusto, ho scelto il potere non l’amore. Anzi, adesso ne sono proprio convinta.