Il buio della notte

giugno 3, 2012 § 42 commenti

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Cammino lentamente, ascolto i miei passi.

Un bisogno impellente ottenebra la mia mente, piega ogni mia volontà , la mia mano tasta ansiosa lo strumento che mi porterà a sfiorare altri mondi.

Il suono dei passi è ora enorme, sovrasta la città che ritrae le sue radici sotterranee, le fondamenta vibrano spostando le case, si moltiplicano e si riproducono in amplessi tellurici e tutto scivola ai bordi del vicolo, sul piano inclinato della notte.

E’ come essere avvolti dentro alla placenta di una grande madre, si sente come lo sciabordio del liquido amniotico che sta ognidove intorno a te, buio caldo che ti conforta , non conosci altro.

E’, la notte, all’angolo dove finisce quel vicolo , dove si deve scegliere il corso della vita, la strada da percorrere, è lei la dominatrice, come una madre severa e despota.

La parte di giorno che ne dice la fine sgocciola giù dalle grondaie si avvia lentamente verso i chiusini per scendere nelle profondità della terra, si incunea in interstizi lungo i muri si coagula  sul selciato creando pozze di buio.

Tra i muri impregnati  di nerofumo della notte  un unico lampione sfuocato combatte la sua battaglia e racconta alle finestre vicine come sarà la luce tra alba e tramonto che non arriva mai, storie raccolte da altre vie d’intorno, che hanno cammini meno stretti e muri meno alti a incolonnare sei piani di esistenze miste di nuovi poveri e donne in vendita.

Non si distingue il giorno dalla notte, nel vicolo il tempo non scorre, condensa, si addensa vischioso e opaco , ammuffisce sui mattoni spessi d’umido e si appiccica alle vite randage e svendute.

Intorno a quei muri sale alto il clamore della città che vive su bitumi butterati , picchia su selciati sconnessi, sgomma ai semafori , spande fasci di luce aspettando il giorno.

Accosciato sotto a quel lampione sento irrigidirsi i muri, le crepe sembrano allargarsi voraci , i calcinacci calano come bave da fauci orrende, le tubature risuonano con clangori metallici. La tensione si trasmette da vicolo a vicolo, passa alle altre strade e tutto sembra convergere  verso questo punto, adesso, in questo momento come se nel mondo non ci fosse altro. Tutto in un punto dove il tempo non passa, dove qualsiasi cosa può accadere. Il tempo si ferma , si addensa, si somma , si sottrae all’esistenza, si nasconde al futuro , si dimentica del passato , si dilata nel presente.

Il lampione sembra fondersi in una pozza di fioca luce, mi alzo e riprendo il mio passo, lascio la pozza alle spalle , giro l’angolo e la strada mi inghiotte , il rumore mi stordisce, la gente mi sfiora . Il tempo riprende a scorrere , il grumo si scioglie, la tensione si stempera nelle vie consuete di conoscenza quotidiana.

Nulla è accaduto in quello spazio dove il tempo si è fermato , ha lasciato solo un ricordo che svanisce ad ogni passo nella strada illuminata dove il buio stagna sui tetti dove i petali dei fiori sui terrazzi sono tutti neri.

Esco dall’utero della città in attesa dello schiaffo che strapperà il primo vagito spalancando i polmoni per respirare la vita e da quel momento incomincerò a consumarla.

Oggi il sole indifferente nascerà ancora…e il tempo fluirà ignaro.

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Genova

Maggio 10, 2012 § 39 commenti

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Genova

 Aiuole fiorite

trapuntano

un mare di  ardesia grigia

elevandosi su vicoli

luveghi

Recanti oscuri

nascondono anime

perdute

sprazzi di cielo

angoli di vestigia

antiche

voci saracene

in lotta per la vita.

Lei

sempre superba

riservata

prostituita alla padaniama

non violentata

nello spirito

ancorata dal

maniman

ad aspettare lo scorrere dei secoli

per riprendersi

la sua anima.

Mare senza pesci

Maggio 3, 2012 § 35 commenti

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Seduto in un giardino rubato
ti guardo come rapito
mentre ti avvicini con passo di donna:
hai gambe lunghe e commoventi
e la tristezza di un sorriso.
Sei come la luce,
e io come Genova,
e ai tuoi occhi affamati
non ho altro da offrire
che le mie reti vuote
perché il mio mare, lo sai,
è un mare senza pesci.

Gigli recisi

aprile 23, 2012 § 15 commenti

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I gigli nati sull’asfalto

non diventano orchidee

ma appassiscono per non morire

tra mani sporche e senza grazia.

Questo è il canto notturno

della circonvallazione a mare

e del reticolo ombroso di viali e di strade

dove crescono creature acerbe

dalla pelle liscia e scura,

che rende più selvaggio il dolore

e nasconde lividi e ferite.

Genova non nasconde

questa lunga fila di vite spezzate

le coccola e le ripara dal vento

nei suoi vicoli scuri

Genova le accoglie come accoglie il mare

Come un fato ineluttabile

loro aspettano di scaldarsi

sdraiate sui sedili posteriori,

a posare un bacio sull’ignoranza

e sulla violenza di non sapere amare,

e farlo per poche lire,

per rivedere il sole,

la terra che hanno lasciato

o almeno il passaporto,

per confrontare una vita stuprata

su una vecchia foto.

Vicolo

aprile 8, 2012 § 32 commenti

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D’un tratto sei una strada,
stretta e piena d’ombra come le strade di Genova.
E anche se so dove porta,
anche se so che fa male arrivare in fondo
e scoprire il colore del cielo,
io vi poso i miei passi,
lentamente,
trattenendo a stento
il bisogno di amare
e la fretta di soffrire.

Ricordi Profumati

aprile 4, 2012 § 30 commenti

A volte nella mente passano pensieri bislacchi ma non per questo meno belli.

Mi piacerebbe avere sui ripiani della mia libreria una “odoroteca” …una serie di barattoli con dentro gli odori che hanno segnato certe tappe della mia vita, ogni tanto aprirli e sentire gli odori e sprofondare nei ricordi.

 

Nelle medie inferiori c’era una ragazzina per me bellissima , già una signorinetta,  mentre io ero un ragazzino imbranato con i capelli a spazzola. Quando uscivamo da scuola lei seguiva per un tratto la mia strada , passava sotto casa mia e poi proseguiva.

Io avevo preso l’abitudine di seguirla con gli occhi mentre camminava sola, eretta e computa mentre noi in gruppo ci spingevamo e facevamo cagnara. Nel periodo di carnevale , i maschietti per mostrare la loro virilità si procuravano dei flaconi di BOROTALCO e in gruppo assalivano le ragazzine imbiancandole. Un mezzogiorno la vidi circondata da quattro ragazzi più grandi e preso da un strano impeto mi buttai nella mischia apostrofandoli come vigliacchi, con il risultato di trovarmi imbiancato come un pesciolino prima di essere fritto. I ragazzi fuggirono e io rimasi lì con la mia rabbia repressa, lei con un sorriso mi si avvicinò ,alzò una mano e mi pulì il viso, mi spazzolò i capelli e mi disse “ Grazie …..ciao” . Mi rimase l’odore del borotalco associato al suo sorriso e ai suoi gesti. Fino alla fine dell’anno scolastico, facevamo la strada fino a casa mia assieme , ci salutavamo e lei proseguiva.

Il primo anno delle superiori, sconvolse la mia vita. Si andava a scuola in treno , eravamo indipendenti, ci sentivamo grandi e ci si immaginava chissà quali avventure ma la vita scorreva tra nuovi amici e piccole trasgressioni. Un giorno notai una ragazza che saliva sul treno un paio di stazioni dopo la mia e scendeva alla stazione dopo visto che proseguiva ma per il convoglio la corsa terminava. Mi sorrideva con una faccia come se dicesse “Si sorrido a te ….proprio a te” ed io imbarazzato rispondevo al sorriso ma non riuscivo a spiccicare una parola. Per alcuni giorni facemmo il percorso appoggiati al finestrino  sempre più vicini tanto sentivo il calore del suo corpo e percepivo un odore di mughetto. La sera pensavo a lei e nella mia stanza mi sembrava di sentire il suo odore. Una splendida mattina di primavera finalmente riuscii a parlarle e saltai la mia stazione , volevo starle vicino , accompagnarla a scuola . Lei rimase un attimo sorpresa ma una espressione di compiacimento si diffuse sul suo volto. Mentre camminavamo arrivammo nei pressi dell’ascensore che sale sulla spianata di Castelletto e come attirati da una forza misteriosa ci trovammo nella cabina per percorrere il breve tratto che ci avrebbe portato su. Il cielo era terso , la temperatura piacevole, gli alberi in fiore, la città era stesa ai nostri piedi ,. Il sole giocava sul mare mandando riverberi che rimbalzavano sui tetti di ardesia. L’occhio si perdeva a cercare i terrazzi fioriti che trapuntavano la distesa come magiche oasi. Tutti e due eravamo appoggiati alla ringhiera ammirati e stupefatti da tanta bellezza , dai vicoli saliva un odore , un afrore di tutta l’umanità …l’odore della città.

I nostri corpi si sfiorarono , le nostre mani si toccarono lievemente, quasi come un bacio. Inebriati , mano nella mano camminammo senza meta per poi perdersi.

 

Alcuni anni dopo , una bella notte di primavera senza luna , in compagnia di una splendida ragazza mi arrampicai sui tornanti che portano su una magnifica terrazza naturale sul mare , sulle alture di Pegli , località “La Vetta”. Sono ancora presenti le casematte che contenevano i cannoni usati nella seconda guerra oramai ridotte a ruderi, qui sdraiati sopra una riva in pendenza potevamo ammirare le stelle che approfittando della mancanza della luna si specchiavano vanitose nel mare leggermente increspato , tra un bacio e l’altro progettavamo il nostro futuro quando ad un tratto vicino a noi uno spettacolo di quelli che valgono una vita , uno sciame di lucciole attirate dall’odore di un boschetto di pitosfori si misero a volteggiare addobbandoli come alberi di Natale . Le lucciole si accendevano e si spegnevano e volavano da un ramo all’altro creando effetti fantastici che ti sciolgono il cuore. A me piace l’odore del pitosforo ma mi piaceva di più l’odore della ragazza.

Ecco , nella mia “odoroteca “ con i vasetti ben sigillati terrei questi odori. Borotalco, Mughetto, l’odore di Genova, Pitosforo ma soprattutto l’odore di mia moglie a 20 anni.

L’essenza della vita e del male

aprile 2, 2012 § 18 commenti

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Vado avanti di riflesso,
seguendo la scia del dolore
e tocco il fondo di un giorno indegno
mentre fingiamo di non vederci
in coda al supermercato,
tu, con le tue borse piene
e io qui, con le mie povere cose
e il denaro contato.
Resto solo con il mio veleno
e cammino piano, senza fretta
per le strade di Genova.
Scorgo un dolore sempre uguale,
l’indifferenza che disegna i volti
e la solitudine che martoria i corpi,
come un tumore antico e mai sanato,
un tumore tenuto in vita,
un equilibrio crudele,
una genesi, una nemesi,
l’essenza stessa della vita e del male.

Vivere e morire a Genova

marzo 26, 2012 § 23 commenti

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Vivere e morire a Genova
nell’ombra dei tuoi passi
ad ogni passo più lontani
finché di te rimane una sagoma scura,
una scia di profumo,
un niente:
le mani sul volto
sono il mio pianto senza lacrime,
sono il mio grido senza voce.
E questi miei abiti,
che sanno di fumo e di polvere,
non nascondono il peccato,
non cancellano l’errore
né concedono il perdono.
Ho sbagliato
e pago il fio della colpa
in ogni giorno che muore:
la bestemmia mi lascia peccatore
ed il peccato mi fa uomo
ma tu, ormai, sei andata
ed io cammino solo.
Così, la mia vita continua
sul tuo sorriso che muore
nel mio sorriso negato.
Ci saranno strade strette
a guidarmi sui monti di Genova,
ripidi sentieri incatramati
che scalano la miseria della roccia
e feriscono la terra secca, esangue.
Mi porteranno in alto abbastanza
per vedere le luci della città:
la notte, il cielo sopra Genova
è uno schermo giallo e nero
con sopra i volti stanchi
del porto e delle strade.
Ma è un cielo senza stelle,
una coperta rammendata
senza più calore
per avvolgere i corpi nudi
delle sue puttane.
Il cielo sopra Genova
vede ogni notte la stessa terra
e ogni notte la nasconde
per conoscerne il dolore:
si sente il grido, il passo,
la carezza del denaro che asciuga il pianto,
si sentono ovunque
urlare le sirene e fuggire le puttane
in un confuso tramestio di tacchi.
È il cielo dei perdenti,
dei conti che non tornano
e delle riflessioni amare,
dei pensieri scuri
e di una vita a mani vuote,
sempre.

Tetti

marzo 25, 2012 § 14 commenti

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Le  strade  che  portano  al  mare
sono  piene  di  vento  e  di  gabbiani
e  dormono  da  sempre
sotto  un  velo  di  salsedine,
e  i  miei  passi,
che  non  sanno  dove  andare,
lasciano  orme  scure  e  fragili
e  incrociano  i passi  dei  vecchi
che  hanno  visto  Genova
il  giorno  in  cui  sono  nati.

L’ultima luce

marzo 13, 2012 § 16 commenti


I passi si inseguono posandosi
su ciappe consunte mentre la mente
vaga lontana cercando di mettere
a fuoco la tua immagine.
Non conosco i tuoi pensieri
e, quasi, non ricordo il tuo viso.
I tuoi occhi non riflettono
la luce opaca di Genova:
sembrano vedere il mare
per i suoi colori
mentre i miei, da sempre,
vedono il volo triste dei gabbiani
e le navi allontanarsi,
in una scia di fumo.

Come intorpidito
esco dal ventre lurido
della città di notte.
L’odore della metropoli
mi rimane dentro,
s’aggrappa ai ricordi
e mi ferisce al cuore.
Credevo di trovare
la luce tenue del mattino,
o la foschia dell’alba.
Invece, ancora nel buio,
scorrono le vestigia di questa Genova
che mi avvolge come un grembo materno.

Penso a quando ti rivedrò, cerco la luce, il mare.
Starò peggio, sarà ansia e dolore.
Sarà una gogna, e quasi ne sorrido,
perché ho bisogno d’ironia
se la felicità è un lusso
che non mi è concesso avere.

Sederemo vicini su quella scogliera
che argina il mare.
Ma non ti dirò il mio passato
né svelerò il mio segreto,
guarderemo lontano anche quello
che possiamo solo immaginare,
perché da qui possiamo vedere
la morte del sole e sentirne il freddo strisciante,
e da qui, stringendo gli occhi contro l’ultima luce,
posso guardare il tuo viso,
imprimerlo nella mia mente
perché sia reale e non si perda
fugace nell’oblio di un soffio caldo
di lenzuola cincischiate.

 

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