Marilù

luglio 23, 2012 § 20 commenti

Piccola serie di racconti di ” Donne si raccontano”
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Marilù   Un matrimonio imperfetto

 

Caro Mario, non so se farai come con molte delle altre lettere che a suo tempo negli ultimi dieci anni del nostro ventennale matrimonio, ho avuto bisogno di scriverti: lettere che contenevano le “mie ragioni” nei tuoi confronti e che ti mandavo sperando in un dialogo, un confronto in cui ognuno dei due, facendo sue anche le ragioni dell’altro, si mostrasse desideroso e capace di trovare una sintesi soddisfacente per entrambi. Forse butterai anche questa come tutte le altre. Pazienza. Sappi almeno, se riuscirai ad arrivare sin qui, che il decidermi a scriverti contiene una cosa importante: uno scatto di ribellione alla rassegnazione che, come ben sai,  non è un sentimento positivo con il quale convivere e far convivere gli altri.

Mi spiace, perché vedo che non stai bene, combatti in silenzio contro una serpeggiante depressione alla quale non sei abituato a dare parole per farti davvero aiutare. Chissà, forse per come sei fatto, non vuoi neanche riconoscerla.

Vorrei. Vorrei che insieme fossimo capaci di uscire dal tunnel che è tuo, ma che è mio persino da un numero maggiore di anni. Vorrei che le “parole fossero fra noi leggere” (non mi ricordo chi l’ha scritto), e che riuscissimo a vivere anche la vita con maggiore leggerezza. Vorrei che fossimo capaci di desiderare ancora un po’ di felicità, di gioco e di spensieratezza: la vita come la sto e la stiamo vivendo insieme da un bel po’ di anni, mi è diventata pesante, e non mi piace accettarla così, senza far niente per migliorarla un po’.

Vorrei non combattere con te su qualsiasi argomento: E questo significa che vorrei che tu fossi più rilassato e non perennemente in guardia.

Vorrei che questo tempo, il tempo della nostra pensione / come continua a sembrarmi brutta questa parola / un tempo che tutti e due cerchiamo un po’ nevroticamente di riempire, terrorizzati dalla paura del vuoto, fosse anche un tempo di  “servizio” l’uno nei confronti dell’altro.

Vorrei che tu provassi piacere ad aiutarmi. Vorrei che invece di soffrire e sentirti  così spesso offeso, solo e non capito, tu ti vedessi dall’altra parte dello specchio e riuscissi a ridere un po di te.

Vorrei che tu ogni tanto mi chiedessi scusa. Scusa per non avermi vista, non avermi aiutata al momento giusto, non essermi stato vicino come e quando mi sarebbe servito da morire, non avermi fatto piangere fino a non poterne più sulla tua spalla quando ne avrei avuto bisogno, e ridere in un momento successivo. Scusarti per non avermi rispettata, per avermi sempre costretta a fare i conti con il tuo bisogno di affermazione, espressione della tua insicurezza. Vorrei che tu mi chiedessi scusa per pensare così poco al mio piacere di vivere, anche perché non riesci, non sei mai stato capace di pensare al tuo. Vorrei che tu fossi capace di essere, non dico sempre, qualche volta, più generoso nei miei confronti.

Vorrei sentirmi meno sola

Vorrei essere più felice

Non lo sono.

 

Io non ho più tempo per aspettare. E non ne ho più voglia. Non ho voglia di sopportarti anziché essere felice con te. Non ho più voglia di stare con te e di sforzarmi di capirti e accettarti ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Io sono una persona piena di difetti, lo so. Ma ho bisogno di qualcuno che sorrida con me anche di quelli.

Comincia a pensare a come regolare la situazione. Me ne vado

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Maria Pia

luglio 5, 2012 § 28 commenti

Piccola serie di racconti “Donne si raccontano”
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Maria Pia               Libertà di espressione

 

Sono un’intellettuale, svolgo un lavoro intellettuale. Tutti i compagni che ho avuto, non tantissimi per la verità, sono stati degli intellettuali, anche quest’ultimo: ha qualche anno più di me, ma non tantissimi come potrebbe sembrare. Perché io, a differenza di lui che non ne ha bisogno – qualche ritocchino ogni tanto, per togliermi qualche anno, l’ho fatto. Per carità, non come le attrici che a cinquanta ne dimostrano trenta: io sono andata da un chirurgo di assoluta fiducia, ci siamo parlati, lui ha capito, e ci siamo accordati per togliermi, come ha detto lui, un po’ di stanchezza dal viso. Così una volta mi ha fatto gli occhi, poi il sottomento, poi ancora i contorni del viso, ma tutto in maniera quasi invisibile, non se n’è accorto nessuno, non l’ho detto a nessuno, neanche al mio compagno: l’unico risultato evidente è il “ma come stai bene” con cui mi accolgono tutti quando mi incontrano a teatro, alle mostre o alla presentazione di un libro. Si insomma, sto bene, nel senso di avere un bell’aspetto, l’aspetto di una che è riuscita a restare giovane, una che può, come io voglio restare “in pista”, continuare a fare il suo lavoro senza essere considerata vecchia e quindi fuori dal gioco. Come? Un’intellettuale non dovrebbe avere bisogno di questo? Ma chi l’ha detto?

Prima di decidere di andare dal chirurgo, ci ho pensato bene, eccome: ma poi ho capito che non c’era scelta, se volevo continuare ad esercitare il mio mestiere di intellettuale e vedermi riconosciuto il diritto ad esprimermi non c’era che il mio amico chirurgo. Ho sofferto un po’, ho speso un mucchio di soldi, ma ne valeva la pena.

Sahara 3

giugno 29, 2012 § 23 commenti

Dal Sahara al Tènèrè

Mi trovo ad Hassi Messaud , un centro di estrazione del metano , 1200 km dalla costa e ben all’interno nel deserto del Sahara. Qui non esiste nessuna oasi ma soltanto un agglomerato di basi delle varie compagnie straniere impegnate con gli algerini nello sfruttamento delle loro risorse naturali. Il nostro campo è abbastanza confortevole, anche se dopo qualche tempo la routine ti logora e senti il bisogno di comunicare , di vedere movimento, di gente …folla. Il villaggio è composto da una serie di baracche realizzate sovrapponendo dei barili da 200 lt e riempendoli di sabbia per dargli stabilità, il tutto ha un aspetto squallido, soltanto una tenda, abitata da un tuareg,  ricorda  questo popolo fiero. Quest’uomo, completamente vestito di nero, mi aveva incuriosito nei giorni precedenti ed avevo pensato alla sua vita trascorsa in terre così poco ospitali e alle sue traversate per raggiungere oasi lontane. Una sera, mentre passeggiavo poco distante dal campo, mi ha avvicinato e con la scusa di chiedermi una sigaretta si è messo a parlare, come se avesse voglia di comunicare qualcosa al mondo.  Mi ha parlato del deserto, dei suoi dromedari, delle notti fredde e delle sue donne dolci come il miele, poi ad un tratto si è zittito ..come se avesse avuto l’impressione di aver detto troppo  e si è allontanato nell’imbrunire stagliandosi nello skyline delle dune…..un uomo solo. Mi comunicano che devo fare un intervento ad Agadés , un migliaio di km più a Sud. Il pensiero di questa traversata , se da una parte mi stimola , dall’altra mi da una leggera ansia  di precarietà, i preparativi mi distolgono da questi pensieri. Si parte e si lasciano indietro i pensieri e le preoccupazioni ; una leggera euforia mi pervade e la mente corre alla meta così lontana ed a quello che il viaggio offrirà. Dopo un lungo colloquio informativo con la guida , decido di prendere l’aereo per il tragitto fino ad Agadés e una volta terminato il lavoro fare una escursione con il fuoristrada attraverso il  Ténéré ,il mitico deserto. La fantasia scioglie le briglie e galoppa sulle dune.  Agadés è una città carovaniera e di mercato e, seppur decaduta e modernizzata, conserva ancora l’impronta di capitale del sultanato tuareg dei Kel Air ricordandoci che oggi non tutto il Sahara è asfalto e omologazione. In Agadés i mastri orafi tramandano le tradizioni d’appartenenza tribale forgiando i classici gioielli a croce, dalle forme più svariate, che tutto hanno tranne che un simbolismo cristiano. Agadés è, soprattutto, il punto di riferimento per quanti si apprestano ad attraversare il deserto. Lo è tanto per noi, alla ricerca dell’emozione di una traversata che, pur col supporto dei fuoristrada, ha ancora il sapore dell’avventura, quanto per chi ancora continua caparbiamente ad attraversare il Ténéré a dorso di cammello, per mestiere e antichissima consuetudine, conducendo grandi carovane di dromedari pezzati capaci di sopportare ciascuno un carico che può raggiungere il quintale. Sono le ultime carovane del sale, chiamate in Mali “Azalai” e in Niger “Tarlamt”, in grado di percorrere sino a 40 km al giorno. In poche settimane coprono la distanza tra le oasi del Kaouar e Agadés, con una lunga e faticosa marcia che inizia all’alba e termina ben oltre il tramonto. Nessuna sosta, tranne quella per le cinque preghiere giornaliere. Un mese duro ed estenuante, trascorso cavalcando i dromedari e riposando accovacciati in equilibrio sulle cavalcature per recuperare le forze. Un’avventura al limite della resistenza umana che presuppone grande familiarità con il severo ambiente del deserto unita a notevole resistenza fisica. Il Madugu è il capo carovana. In prima fila, lo sguardo fisso in avanti a scrutare l’invisibile pista. Il commercio triangolare dei prodotti agricoli dell’Air in cambio di datteri e sale, sopravvive verso oriente, in direzione del Ténéré, sostenuto dagli infaticabili Kel Ouei, una tribù di tuareg dell’Air da sempre dedita agli scambi in partecipazione con i Kel Gress, allevatori originari del sud, proprietari degli animali. Gli Azalai, parola tamascek che vuol dire separazione, compaiono nel deserto come fantasmi dal passato e sembrano dirigersi verso il nulla, scomparendo tra i cordoni di basse dune parallele che si susseguono come onde, confondendosi in lontananza nella foschia dell’harmattan. Ci hanno regalato la nostalgia d’un incontro irripetibile tra epoche lontane e inconciliabili. Sostiamo presso una piccola oasi con un Hassi (pozzo) e qui sotto un boschetto di palme c’è, disposta su un letto di sabbia, una esposizione di minerali recuperati nel deserto. Ci sono delle rose del deserto spettacolari di tutte le dimensioni . Forme contorte , elaborate, alcune più spesse , altre delicate come trine, mi sto perdendo nell’ammirare queste forme quando da sotto una specie di tenda improvvisata esce un bimbo ,bardato con alcuni stracci e con l’immancabile copricapo attorcigliato. Mi guarda curioso con due occhi neri e profondi e dal naso gli pende uno spettacolare moccio. Mi si avvicina, mi prende per mano e mi mostra i pezzi più belli in esposizione, sempre senza parlare mi evidenzia i particolari, poi soddisfatto della sua tecnica fa cadere la mia attenzione sulle sue calzature che mi mostra alzando un piede verso di me. Scarpe particolari , probabilmente nuove , di pelle di cammello , fatte a mano. Io gli faccio qualche complimento in francese, lui si passa l’avambraccio sul moccio , spalmandoselo su tutta la faccia. Guardando la sua espressione scoppio a ridere , lui rimane un attimo perplesso poi il sorriso illumina il suo volto. A quel punto arriva un uomo che evidentemente era il padre e mi invita ad effettuare qualche acquisto. Dopo una lunga trattativa, ritorno al mio fuoristrada accompagnato dal bimbo al quale regaliamo un pacco di biscotti. Dopo la mia partenza il mio pensiero si è soffermato sulle condizioni di vita in queste aree così inospitali ma che comunque lasciano spazi per diversi modi di concepire la vita.  Proseguiamo oltre l’oasi di Fachi con le sue saline. Motivi di sicurezza ci hanno indotto a non imboccare la pista che da Bilma porta a Djado e poi a Djanet, ma di ripiegare a nord in direzione della falesia d’Achegour e dell’Adrar Madet. Scelta felice, perché la parte orientale dell’Air cela la Riserva Naturale Nazionale dell’Air e del Ténéré, nota anche come Santuario degli Addax, uno degli angoli più affascinanti del deserto. Qui l’erosione, dovuta dagli sbalzi termici e dal tempo, ha modellato le estese rocce affioranti dal mare di sabbia formando sagome bizzarre, giganteschi archi naturali, picchi, guglie e torrioni che affiorano tra le dune dorate, nell’erg infinito. Tetri pinnacoli rocciosi si alzano da basse depressioni piatte di sabbia e ciottoli. Il basalto nero dell’Air si frantuma in creste seghettate e pinnacoli, guglie e organi di pietra che delimitano pianure desolate dove è sufficiente chiudere gli occhi per immaginare, confuso al brusio del vento, l’eco della corsa dei mastodonti delle ere passate. Qui il pensiero corre ad immaginare epoche lontane e rimbomba di battaglie , clangori di lame che si scontrano per il predominio tribale, e si spinge ancora più in là nel tempo, quando forse questa area era abitata da popoli primitivi.  I siti d’arte rupestre danno solo un’idea di come il clima fosse diverso e di come fosse più vivibile l’intera area oggi occupata dal deserto del Ténéré. Reperti d’ossa di dinosauro, vissuti milioni d’anni fa in delta di fiumi oggi fossili, sono visibili nelle località di Gadufaua e Ingal. Le dune rosa e quelle dorate si contendono Arakao, una formazione semicircolare di colline rocciose invasa dalle sabbie la cui forma ricorda le chele di un granchio. Le sabbie colorate di Arakao fanno da preludio alle barcane alte come colline di Temet, dune di 300 metri, le più grandi del Sahara. Per arrivarci abbiamo attraversato le Montagne Blu, rupi di marmo traslucido e levigato che emergono dalle sabbie come ossa d’animali morti, solcati da venature d’azzurro che paiono riflettere i cieli di turchese. Il deserto , stranamente ti riempie l’anima con i suoi spazi che sembrano senza fine, e quando la sua monotonia è rotta dall’apparizione di formazioni naturali la loro spettacolarità ti lascia senza fiato. Quando ritorni alla civiltà, la mancanza del deserto si fa sentire intensamente , forse perché nel deserto hai il tempo per stare intimamente con te stesso. Il sogno di un tramonto sul deserto con ledune infuocate ti accompagna nelle giornate uggiose scaldandoti il cuore

Minaccia di donna

giugno 21, 2012 § 16 commenti

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Giorgio è ormai esausto, tutto appare in bianco e nero.
Seduto sul bordo della sedia, il busto proteso in avanti, le ginocchia che formano un angolo acuto, talloni staccati dal suolo, osserva immobile l’inquietante scenario. Il pericolo è evidente, ma non può far nulla, può solo aspettare. Con una parte del braccio forzata sul tavolo, le mani chiuse che si aprono lentamente fino ad appoggiare la palma sul piano lasciando una impronta di sudore per poi ritornare chiuse a pugno, le rughe solcano la fronte e si ha l’impressione che strizzino gli emisferi del cervello come a cercare ogni stilla residua di scienza , attende nervoso l’evoluzione degli eventi.
Gli occhi fissano la donna come se potessero inchiodarla e scongiurare ogni suo movimento, la fissano per farla sparire, per ipnotizzarla e renderla inoffensiva ma la minaccia è sempre lì e lui immobile, può solo aspettare.
Gocce di sudore colano dalle basette, scendono per il collo e si infrangono sul colletto della camicia bianca stretto dalla cravatta nera con sottili righe oblique verdi e rosse. Deve solo aspettare. Lì, seduto con i polpacci induriti dalla postura e gli occhi scuri fissi sul nemico.
E’ il momento decisivo, le ginocchia sono strette, le palme comprimo il piano del tavolo. Quella donna potrebbe essere la sua rovina, la guarda avanzare atterrito, la sua mandibola si fa dura, dove vorrà arrivare? Lei avanza in diagonale , dove vorrà arrivare? Il respiro si attenua.
La donna si ferma all’improvviso.

Giorgio la guarda, il ginocchio non vibra più, i talloni finalmente poggiano al suolo, la mandibola si rilassa e tutto il viso si distende. Ora lei non è più una minaccia e osserva attentamente  la situazione che si è creata ,un lampo schiarisce la sua mente, il cavallo comincia a correre, aggira la torre scarta fulmineo da un lato e si blocca rampante:

scaccomatto!

Elena

giugno 13, 2012 § 21 commenti

Piccola serie di Racconti di: “Donne si raccontano”

8

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Elena                                            Fare e disfare

Fare. Sono stanca di fare: fai un caffè, non ti preoccupare faccio io, devo fare perché gli altri non fanno, faccio perché è necessario, forse perché mi è necessario, perché mi invento continuamente ragioni o scuse per il mio fare fare fare, perché in realtà non so vivere senza fare. Fare è il mio destino e la mia dannazione. E dentro in fondo allo stomaco, al cuore, alla pancia, ho un dolore fisso, come un crampo, che ogni tanto mi fa vomitare una lacrima, o tante lacrime, un diluvio: perché vorrei non fare, vorrei solo pensare, pensare a me, vorrei che gli altri non fossero un servizio perenne da adempiere, ma un pensiero che mi riporti a me stessa.

Perché sei triste? Che hai? Niente, rispondo quasi sempre. Via le lacrime, il crampo allo stomaco, e ricomincio: faccio. Annaffio le rose sennò muoiono, riordino i vestiti sennò c’è disordine, cucino sennò che si mangia, metto la carne nel freezer con il bigliettino sopra che indica di che si tratta, sennò va a male, tolgo la carne dal freezer la sera per il giorno dopo sennò non si può cucinare, apparecchio la tavola perché è più bella una tavola apparecchiata, rispondo al telefono al posto di tutti, che chissà perché sono sempre lontani e non sentono, faccio il cambio degli armadi.

E poi lavoro fuori casa: uno, due, tre lavori diversi. Faccio perché, mi dico, gli altri hanno bisogno di me, ma forse sono io che ho bisogno degli altri. E lavoro, lavoro, lavoro con o senza remunerazione. In casa o fuori casa lavoro quasi sempre a cose che in sé non mi piacciono e non mi interessano: bisogna fare, bisogna farlo. Perché? Delle giustificazioni, certo, me le do: i soldi da guadagnare o da risparmiare, i rapporti che bisogna conservare, gli appuntamenti che non possono e non devono essere rimandati, gli affetti da curare. E poi chissà: da un lavoro che non mi piace e non mi interessa, magari, mi dico, salta fuori un’altra cosa che potrebbe soddisfarmi. Oggi non va, ma domani….Domani, certo. Per adesso, per oggi, faccio. E non mi piace.

Guardo gli altri che non fanno, e li odio. Coltivo, sempre lì in fondo a non so dove, un antico e sedimentato rancore: io faccio e loro non fanno: loro dormono, pensano, dicono, mi dicono, e io faccio. E così come sembra (sembra) naturale a me, sembra anche a loro, agli altri, a tutti gli altri: fai un caffè, fai due fili di pasta, fai una telefonata, due telefonate, tre, ricordati di dire al tizio di scrivere a caio, fai. E io faccio. Sdoppiandomi: metà mia madre che ha vissuto sempre e solo per il fare, metà mio padre che ha vissuto sempre e solo per il pensare, ascoltare, leggere: metà verso una corsa  dopo l’altra, tante cose insieme non si sa perché, metà verso la lentezza; metà realizzazione e metà riflessione, voglia di farla finita con le cose e privilegiare il pensiero.

Chissà, forse per eliminare il fare dalla mia vita, dovrei eliminare gli altri: gli altri, l’altro, un altro o un’altra accanto a me, e subito scatta in me la molla del “cosa c’è da fare?”, “cosa posso fare per te?”. Forse dovrei stare da sola: e da quando la penso, anche senza pronunciarla, la parola solitudine mi dà la stessa fitta dolorosa del pensiero del non fare. Forse quando non ci sarò più tutti, o comunque quei pochi, mi ricorderanno per quel tanto che ho fatto, sempre, fino alla fine. Senza sapere che non lo volevo fare, che volevo essere altro da quello che sono effettivamente stata. Sono stata laboriosa, efficiente, rapida, piena di amici o almeno di buoni conoscenti, una donna di relazioni, come si dice. E avrei voluto essere, ma non sono stata capace di esserlo, chiusa nei miei pensieri, creativa per me, intollerante, selettiva, concentrata su me stessa, e quindi dura, cattiva con chi rubava il mio tempo e i miei pensieri. E invece, siccome i fatti contano, eccome se contano, molto di più dei pensieri e anche delle parole, la mia vita è stata questa. Fare

Valentina 2°

giugno 9, 2012 § 19 commenti

Valentina     Almost fetish

parte seconda

“Ma guarda dove vai, cretino!” I pensieri di Valentina si erano interrotti seccamente: qualcuno l’aveva urtata all’uscita, forse inavvertitamente, ma la brusca lacerazione dei suoi margini di sogno le avevano procurato una reazione violenta.
“Mi scusi signorina…stavo guardando da un’altra parte…”
“Scusi lei” pentita, aveva abbassato subito la guardia “ero anch’io soprappensiero…” era un bellissimo ragazzo, alto, moro, occhi verdi grandi…sorrideva leggermente imbarazzato. Che bella voce! Calda, calma…e sensuale!
“Le posso offrire qualcosa? Vorrei…non fraintenda, la prego…solo un caffè, a titolo di pacificazione…ho necessità di interrompere questi ritmi convulsi…tutti i giorni sempre e solo di corsa!”
Valentina era lusingata, incuriosita…”Ma che ti prende?” pensò “Uno sconosciuto…sì, ma è un caffè, cavolo, non ci devi mica andare a letto…ma che ti metti a pensare?”
“Va bene…io sono Valentina…piacere…vada per un caffè!”
“Alex, mi chiamo Alex, ci diamo del tu allora, per piacere…va bene quel bar?” indicò il bar di fronte, molto elegante: il bar del centro meglio frequentato ma, soprattutto, facevano un ottimo caffè…e servivano anche degli ottimi pasticcini, sempre freschi.
Pochi minuti e Valentina si ritrovò a conversare con una persona deliziosa: gentile, leggermente audace ma sempre con magnifico tatto, intelligente e pronto alla battuta.
“Sai Valentina, sei la prima persona piacevole che incontro da mesi…le solite frasi che si dicono, penserai…no, è davvero così, nel mio lavoro devi abituarti ad avere rapporti superficiali, rapidi e occasionali…scusa, non volevo imbarazzarti…sono abituato a dire quel che penso…”
“Che mani stupende!” pensava intanto Valentina “Non sei di qui, vero?”
“No, abito qui solo da una settimana, ma sono di un piccolo paese dell’Emilia, in provincia di Reggio…”
“Ti chiedo scusa Alex, ma io sto facendo davvero tardi…forse anche tu…adesso forse faccio la figura della sfacciata, ma mi piacerebbe rivederti…” era rossa in viso, ma ferma nella voce mentre lo diceva. Gli occhi di Alex si illuminarono: “Domani sera? O forse è troppo presto per…” lei lo interruppe…” Ok per domani sera…sì, domani sera va benissimo.”
Per un lungo attimo si guardarono negli occhi, sorridendo…poi si scambiarono i numeri di cellulare. Un po’ formalmente si strinsero la mano…”Ti chiamo io…domani prima di mezzogiorno, ok?” lo diceva mentre si allontanava…e Valentina fece cenno di sì con la testa…poi si girò per restare con se stessa e godersi il sorriso in intimità, un sorriso emozionato…”Mio dio! Perché non vedo già l’ora che sia domani sera?”

Valentina era ridotta ad uno straccio per le emozioni della giornata , non vedeva l’ora di farsi una bella doccia calda, lunga , tonificante.
Arrivata a casa si levò i vestiti lungo il corridoio che portava al bagno, fece scorrere l’acqua e intanto si guardava allo specchio.
Il corpo era tonico , seno alto e rigoglioso , pancia soda ….ripensava alla scena dell’arabo , delle sensazioni che le aveva procurato…entrò nella doccia e l’acqua che scorreva trascinava via il ricordo…ma si aprivano nuovi scenari.. Alex , belle mani , forti , spalle larghe …e il sorriso …si.. il sorriso lo aveva stampato nella mente e stranamente Valentina sentiva i muscoli del suo viso che erano atteggiati a sorriso , anche lei stava sorridendo …la schiuma bianca la copriva ma sotto sorrideva …

Per altri cinque minuti assaporò senza fretta l’acqua calda che scorreva accarezzandole il corpo, lasciando scivolar via la stanchezza di quella giornata; poi si concesse di nuovo all’abbraccio delle bollicine del suo bagnoschiuma. Ad occhi chiusi, con la mente, le mani e il corpo spalancati alle fantasie più audaci, si immaginò che Alex fosse lì: nudi, bagnati e legati in una soffice morsa che li spingeva insieme lungo un lento e stupendo crescendo wagneriano, verso il culmine dell’amplesso più magico della sua vita. D’improvviso si fermò per non oltrepassare il limite dell’immaginazione, e quel fuoco che le aveva infiammato tutto il corpo si estinse lentamente, cedendo ad una curiosa e gradevole sensazione di qualcosa di incompiuto. Finì di risciacquarsi dalla schiuma e uscì dalla doccia, in cinque minuti si asciugò i capelli, si tolse l’accappatoio e si infilò la camicia da notte.
“Ho sonno” pensò, “che giornata! Probabilmente dormirci sopra mi chiarirà le idee.” Si infilò nel letto e spense la luce sul comodino.
Sotto le lenzuola, ancora una volta il pensiero di Alex prese forma: le poche braci residue di quel magico momento sotto la doccia rischiavano di riattizzarsi, come alimentate da un getto di alcool puro…Valentina chiuse gli occhi sorridendo, e spense l’ultima fiamma una volta per tutte, cercando di prender sonno…
Alex si rigirava nel letto. Il gomitolo dei suoi pensieri era piuttosto intricato. Valentina…“E’ la prima volta dopo Francesca che sento un’attrazione così forte” pensava “e così diversa. Un’altra donna nella mia vita, innamorarmi ancora…I segnali ci sono, e sono ben chiari. Beh, sarà meglio che ci dorma sopra: che giornata!”
Sotto le lenzuola il pensiero di Valentina prese forma. Alex chiuse gli occhi sorridendo, sicuro di prendere sonno.

Gli accordi erano stati presi, la voce di Alex al telefono era ancora più sensuale che dal vivo, doveva solo prepararsi per la serata .

Mentre l’ora convenuta si avvicinava Valentina sentiva una leggera ansia che la attanagliava, ma dove era la donna in carriera sicura di se?

Certo non era un incontro d’affari , ma si immaginava gli sviluppi o meglio se li augurava. Rivedeva le sue mani forti ,il suo sorriso.

Alex pensava all’incontro che avrebbe avuto tra poco. Aveva dovuto lavorare fino all’ultimo e ora non aveva più tempo per scaricare le valige del campionario dalla sua station wagon ma non avrebbero certo intralciato il corso della serata , c’era giusto il tempo per una doccia e per cambiarsi .

Valentina osservava il suo volto riflesso nello specchio, il trucco risaltava i suoi occhi, li rendeva luminosi , i capelli erano acconciati splendidamente , le davano un’aria di classe leggermente selvaggia. Indossò un abito color fondo di bosco con un lungo spacco sulla coscia e una scollatura profonda che lasciava intravedere il solco del seno sodo. Calzò le sue nuove Dior che le diedero una carica incredibile . Erano veramente belle e si intonavano perfettamente. Quelle scarpe le davano una sicurezza, una spavalderia, si sentiva padrona di se stessa.

Alex attendeva già sotto il portone di Valentina, cercava di ricordarne le fattezze, ripassava i particolari ma parecchi erano sfuggenti. Il tempo dell’incontro era stato breve e lui era impegnato a mangiarsela con gli occhi piuttosto che a memorizzare i particolari.

Valentina spuntò dal portone si guardava  intorno e appena lo inquadrò si diresse verso di lui.

Alex la guardava con ammirazione , era più bella di come se la ricordava , che portamento, che camminata sensuale, certo era stato fortunato ad incontrarla e che lei avesse accettato il suo appuntamento. Era vestita come una indossatrice  e il suo pensiero vagò per un attimo

“Spero di non sfigurare con il mio completo formale e camicia bianca “ , poi il suo occhio clinico scese i basso e ammirò le caviglie affusolate e le scarpe , veramente di classe.

Alex scese per aprire la portiera del passeggero , si scambiarono un sorriso smagliante  e si sfiorarono le guance.

Valentina salendo notò che nel vano posteriore erano accatastate tutta una serie di valige da campionario.

“Cosa sono?”

“Gli attrezzi del mio lavoro”

Valentina lasciò cadere l’argomento aveva altro a cui pensare.

Gli argomenti a cena scivolarono sugli affetti famigliari , sui viaggi .Valentina era sempre più ammagliata da quel giovane sicuro di se , con idee chiare e razionali

Alex la guardava ammirato , lei aveva un sorriso che lo inebriava si sentiva euforico e non era certo per le 2 dita di vino bevuto , doveva rimanere lucido. Lei era splendida , aveva sempre immaginato di frequentare una splendida donna così, la trovava perfetta.

Mentre sorseggiavano il caffè Valentina chiese:

“Ma tu che lavoro fai?”

“Il rappresentante di scarpe”

“Vuoi dire che tutte quelle valige sono piene di scarpe ?”

“Si , tutta la nuova collezione di Meliani”

Valentina ebbe un tuffo al cuore , senti le farfalle spandersi per lo stomaco, un calore le avvolse la nuca. Si stava innamorando.

Uscirono dal locale si avvicinarono alla macchina . Alex elaborava piani su dove sarebbero potuti andare

Pensava”La porto subito in camera?” “andiamo a bere qualcosa?” “Andiamo a sentire un po’ di musica?”

Valentina interruppe i suoi pensieri: “C’è qualcosa che non va?” “potresti farmi vedere parte della tua collezione?”

“Ma come qui in strada ?”

“Perché no? Sotto a quel lampione andrebbe benissimo”

Alex la guardò ,era magnifica perché non accontentarla? Scelse due valige e le apri. Valentina lo guardava estasiata , controllava le sue movenze , la sua grazia , era affascinata dalla sua disponibilità. La luce del lampione era perfetta , dava un alone che rendeva magico il momento. Mentre estraeva le scarpe e le liberava dal panno che le proteggeva Valentina lo guardava con l’occhio in trance , l’eccitazione la pervadeva si impossessava di lei, le mani erano percorse da un leggero tremito sentiva di non potersi più trattenere . Alex era vicino a lei , le mani si muovevano agili e disponevano le scarpe in ordine come gioielli. Valentina sentiva un groppo alla gola e con voce roca riuscì a produrre qualche parola “posso provarle? “.

Alex con un sorriso fece un cenno di assenso, Valentina si sedette sul muretto dell’aiola , si sfilò il suo paio di Dior e le tenne con 2 dita della mano sinistra . Alex le accarezzo leggermente la caviglia e le infilò uno splendido paio di Meliani fatte a mano. Valentina senti come un fitta , uno spasmo che si protraeva nel basso ventre , si alzò e sentiva le gambe molli  . Il cuoio leggero le dava una sensazione di una carezza sensuale sulla pelle si sentiva spossata . In quel momento uno stridio di freni lacerò la notte , le luci bianco blu squarciavano il buio , due poliziotti scesero dall’auto veloci “Cosa succede qui?” . Alex farfugliava qualche scusa senza senso…

Valentina con le sue Dior in mano e le Meliani nei piedi disse:

“Passavo di qui” e si allontanò nella notte.

Fumo bianco…..dissolvenza

The end

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Valentina

giugno 8, 2012 § 17 commenti

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Valentina          Almost fetish

Mani adunche facevano scivolare delicatamente le calze velatissime al reggicalze, un sapiente movimento, e le gambe erano pronte. Valentina si preparava ad uscire, la giornata si prospettava impegnativa: doveva chiudere un grosso affare con una holding di petrolio. Tailleur nero, scuro come la sua faccia concentrata, la grossa borsa porta documenti. Era pronta, uscendo indossa le decolletè nere, a punta, consapevole che deve sembrare molto determinata eppure donna…

Scese in strada, decisa spavalda, un taxi si fermò con uno stridio di freni.
Mentre la macchina si districava nel traffico , la sua mente cercava di prevedere quello che l’aspettava . L’affare era molto grosso e sarebbe stato un bel colpo per la sua carriera , in effetti era la prima volta che trattava un accordo di quelle dimensioni. Un pensiero la sfiorò velocemente “perché proprio io ?..Perché il direttore mi ha dato questo incarico?” ma fu un attimo e il suo ego la portò a valutare i vantaggi della transizione, percentuali , premi di risultato.

Durante il tragitto nella sua mente già scorreva in anteprima il discorso che avrebbe fatto capitolare gli interlocutori a suo favore, quando il suo cellulare vibrò. Lo estrasse dal reggicalze facendo attenzione a non sciupare i collants, ed annoiata rispose. Dall’altro capo una voce maschile:

“Ti sto aspettando. Ho già dato disposizioni ad Hammad.”

“Ma chi è lei? Cosa vuole? Ci conosciamo?” “ Dove credi di andare? Noi due dobbiamo parlare.”

E d’improvviso interruppe la comunicazione.

L’appuntamento era in una zona elegante della città , al suo arrivò valutò l’edificio, una splendida palazzina inizio ‘900 con bandiere esposte e due uomini robusti controllavano l’ingresso.
La macchina si fermò ed un uomo con decisione aprì lo sportello senza dire una parola, attese che io fossi scesa e mi face segno di seguirlo oltre la soglia e mi accompagno in uno studio arredato con gusto , un cenno per farmi capire di accomodarmi e svanì tirandosi dietro la porta. Lo sguardo correva ad accarezzare mobili antichi e tappeti pregiati.

Qualche minuto di attesa ed ecco apparire la persona che aspettavo, vestito elegantemente , 35enne , carnagione olivastra , lineamenti arabi. Dopo le presentazioni , Hammad iniziò la lettura delle clausole contrattuali, ma la mia mente era distratta “una donna a trattare un accordo con un arabo?” ” Gli arabi normalmente rifiutano di parlare con le donne di affari”. L’uomo notò la mia distrazione ed interruppe la lettura. I suoi occhi scorrevano sul mio corpo, si fermavano sulla mia scollatura , scivolavano sulle mie gambe , soppesavano ogni centimetro delle mie gambe fasciate dalle autoreggenti, si fermarono sulle mie scarpe …sembrava non se ne volesse più staccare.. poi improvvisamente “ma lei calza una creazione Meliani”. Rimasi sorpresa della sua affermazione , della sua competenza in calzature ed inizio ad osservarlo meglio. I suoi gesti erano misurati , le sue mani curate ed affusolate terminavano al polsino della camicia trattenuto da splendidi gemelli. Il volto regolare era come offuscato da occhi neri profondi…un brivido mi saliva dalle caviglie correndo sotto alle calze per arrivare fino oltre la zona elastica delle autoreggenti dove si trasformava in calore. Un leggero tremito mi tormentava il labbro inferiore …il mio impaccio era evidente… Lui si alzò e prendendomi una mano mi accompagnò ad un grande divano per mostrarmi delle brochure …Il mio respiro si faceva sempre più corto , una insolita ansia mi pervadeva… Lui come distrattamente si accucciò su di me …sentii la sua mano che scivolava sulla caviglia e mi levava una scarpa … Il mio cuore ebbe un sussulto…la mia mente cercava di valutare la situazione…ma ero soggiogata ..non avrei potuto resistergli. Lui si staccò improvvisamente da me , portò la mia scarpa al naso e la annusò con sommo piacere e con ingordigia negli occhi e… “non posso resistere a queste scarpe , è più forte di me “… Valentina lo lasciò fare. Non aveva mai vissuto una simile situazione, ne era sopraffatta… incuriosita e priva di difese…

Il corpo di Valentina fremeva , la voglia saliva ad ondate, le cosce si stringevano come dotate di volontà propria . Lei seguiva tutti i movimenti dell’uomo aspettava un segno …una muta richiesta . Lo vide avvicinarsi , le sue labbra si prepararono ad attenderlo, qualche spasmo percorreva il suo corpo…senti il suo respiro.. La mano scendeva ..verso ..la sua ….. caviglia le liberò il piede dalla scarpa rimasta … Lei aspettava impaziente ..la mente era sconnessa dal mondo esterno…solo le sensazioni avevano spazio.. L’uomo si avvicinò alla scrivania con le due scarpe in mano.. “L’unica clausola per firmare il contratto: io devo avere le sue scarpe” Valentina era esterrefatta…

Non riusciva a capacitarsi , quell’uomo la aveva portata in quello stato di eccitazione pura e lui si interessava esclusivamente alle sue scarpe senza pensare alle richieste esplicite del suo corpo.

Firmò le carte che le furono messe davanti…era in stato catatonico .. Ogni tanto il suo corpo era scosso da brividi inconsulti, raccolse le sue carte e quello che rimaneva di lei… Uscì a piedi scalzi , scese le scale lentamente….il suo corpo la sollecitava…non le era mai successo niente di simile .. Le pesava camminare ..le sensazioni la avevano portata al limite …in un modo esasperato . I suoi piedi sentivano il freddo del marmo …non si capacitava di avere nella borsa un contratto firmato che le avrebbe portato promozioni e denaro ..

Valentina adesso aveva bisogno di altro ..ne aveva un bisogno assoluto …non aveva mai pensato che si potesse arrivare a tanto …doveva superare il limite ..ne sentiva il bisogno fisico…. Sali sul taxi che l’aveva aspettata ….biascicò un indirizzo…il tassista non capiva .. Valentina lo ripeté scandendo le parole …era persa nel suo mondo, i pensieri la portavano lontano …non riusciva a stare aggrappata alla realtà ..il suo corpo era sconvolto ..aveva bisogno di trovare una pace ..una soddisfazione .. I piedi coperti solo dall’estensione delle calze autoreggenti erano punzecchiati dalle fibre dei tappetini da poco prezzo …sentiva un fastidio esasperato. La macchina si fermò . Valentina fece cenno di attenderla , quello era l’indirizzo giusto …avrebbe trovato quello che cercava .. Un aitante giovanotto le si fece incontro, le sorrise …capì immediatamente di cosa aveva bisogno …e lui era proprio li per soddisfarla … Valentina si rese conto che il momento stava per arrivare … La sua mente aprì la porta per far entrare le nuove sensazioni, il suo corpo riprendeva vigore , una dolce euforia la avvolse . Valentina sentiva il calore che le saliva mentre le abili mani del giovane facevano il loro dovere … La bocca di Valentina si apri e sgorgarono le parole tanto agognate “Queste scarpe vanno proprio bene , sa quelle che avevo mi stringevano un po’”.

Il commesso cinse il suo piede, e infilò le agognate decolletè… Valentina sentì quel brivido, quel sommo piacere. Si alzò per osservarne l’effetto sulla sua caviglia sottile, graffiata dalla smagliatura della calza. L’effetto era sublime però… “Giorgio, stavolta prenderò queste Dior.” Cambiare il modello e il colore allontanava da lei il ricordo di quel attimo rubato… “Domani lo incontrerò ancora…” pensò, pagando il conto..

To be continued…

Il buio della notte

giugno 3, 2012 § 42 commenti

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Cammino lentamente, ascolto i miei passi.

Un bisogno impellente ottenebra la mia mente, piega ogni mia volontà , la mia mano tasta ansiosa lo strumento che mi porterà a sfiorare altri mondi.

Il suono dei passi è ora enorme, sovrasta la città che ritrae le sue radici sotterranee, le fondamenta vibrano spostando le case, si moltiplicano e si riproducono in amplessi tellurici e tutto scivola ai bordi del vicolo, sul piano inclinato della notte.

E’ come essere avvolti dentro alla placenta di una grande madre, si sente come lo sciabordio del liquido amniotico che sta ognidove intorno a te, buio caldo che ti conforta , non conosci altro.

E’, la notte, all’angolo dove finisce quel vicolo , dove si deve scegliere il corso della vita, la strada da percorrere, è lei la dominatrice, come una madre severa e despota.

La parte di giorno che ne dice la fine sgocciola giù dalle grondaie si avvia lentamente verso i chiusini per scendere nelle profondità della terra, si incunea in interstizi lungo i muri si coagula  sul selciato creando pozze di buio.

Tra i muri impregnati  di nerofumo della notte  un unico lampione sfuocato combatte la sua battaglia e racconta alle finestre vicine come sarà la luce tra alba e tramonto che non arriva mai, storie raccolte da altre vie d’intorno, che hanno cammini meno stretti e muri meno alti a incolonnare sei piani di esistenze miste di nuovi poveri e donne in vendita.

Non si distingue il giorno dalla notte, nel vicolo il tempo non scorre, condensa, si addensa vischioso e opaco , ammuffisce sui mattoni spessi d’umido e si appiccica alle vite randage e svendute.

Intorno a quei muri sale alto il clamore della città che vive su bitumi butterati , picchia su selciati sconnessi, sgomma ai semafori , spande fasci di luce aspettando il giorno.

Accosciato sotto a quel lampione sento irrigidirsi i muri, le crepe sembrano allargarsi voraci , i calcinacci calano come bave da fauci orrende, le tubature risuonano con clangori metallici. La tensione si trasmette da vicolo a vicolo, passa alle altre strade e tutto sembra convergere  verso questo punto, adesso, in questo momento come se nel mondo non ci fosse altro. Tutto in un punto dove il tempo non passa, dove qualsiasi cosa può accadere. Il tempo si ferma , si addensa, si somma , si sottrae all’esistenza, si nasconde al futuro , si dimentica del passato , si dilata nel presente.

Il lampione sembra fondersi in una pozza di fioca luce, mi alzo e riprendo il mio passo, lascio la pozza alle spalle , giro l’angolo e la strada mi inghiotte , il rumore mi stordisce, la gente mi sfiora . Il tempo riprende a scorrere , il grumo si scioglie, la tensione si stempera nelle vie consuete di conoscenza quotidiana.

Nulla è accaduto in quello spazio dove il tempo si è fermato , ha lasciato solo un ricordo che svanisce ad ogni passo nella strada illuminata dove il buio stagna sui tetti dove i petali dei fiori sui terrazzi sono tutti neri.

Esco dall’utero della città in attesa dello schiaffo che strapperà il primo vagito spalancando i polmoni per respirare la vita e da quel momento incomincerò a consumarla.

Oggi il sole indifferente nascerà ancora…e il tempo fluirà ignaro.

Matilde

Maggio 27, 2012 § 39 commenti

Piccola serie di racconti di :”Donne si raccontano”
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Matilde         Cattiva

 

Sono cattiva. Non sorrido, non piango e soprattutto non piagnucolo, non voglio essere e apparire debole, fragile e neppure simpatica: non mi interessa mettere gli altri a loro agio, mostrare tolleranza, per carità, dolcezza, gentilezza, arrendevolezza, modestia: tutto l’armamentario tradizionale del femminile non mi appartiene, e non voglio che mi appartenga. Mi ripugna: mi ripugnano i buoni, e i buonisti, con tutto il corollario della melassa dei buoni sentimenti.

Io sono aggressiva, ambiziosa, voglio emergere, non voglio solo essere accettata: voglio vincere. E vinco. Perché io sono brava, e gli altri me lo devono riconoscere eventualmente da sudditi, non da padroni che mi  sorridono e ai quali sorrido per conquistare la loro simpatia. Io sono brava, e per affermarlo non chiedo permesso, scusi,mi dispiace, a nessuno. Sono brava, e basta. E ci credereste? Funziona.

Pozzi di vuoto

Maggio 25, 2012 § 33 commenti


I visi si avvicinano fino a fermarsi ad un centimetro l’uno dall’altro, si convogliano  in quel centimetro che li divide un concentrato di aspettative, in quello spazio che segna la misura  tra un niente ed un bacio, uno spazio destinato a scomparire, è questione
di attesa, del piacere di un’attesa, del piacere di mantenere quel
centimetro immobile, senza fretta. Il centimetro può diventare un metro o una distanza indefinita ma quel centimetro ha stabilito che la soglia si può superare . Poi di nuovo il centimetro ripetuto è un invito  e  nello spazio tra le due labbra sconosciute si sente l’attrazione che si fa prepotente.

Il bacio è ineluttabile.

Dopo qualche secondo hai la sensazione di aver sprecato qualcosa di prezioso ma il braccio che ti sfiora mura le remore .

Nemmeno due ore dopo con la mente schiarita la guardo mentre si  riveste, mentre raccoglie i suoi indumenti sparpagliati, mentre mi scarabocchia un numero di telefono, mentre mi dice di chiamarla , mentre guardo la sua schiena che sparisce di là della porta sento una sensazione dentro che si espande che cerco di non palesare perché sicuro fa male.
Di tutte le volte che è così, di tutte le volte che so che non me ne
frega niente, di quando mi chiedo se finirà questo peregrinare in
storie inconsistenti che ti scivolano addosso senza lasciare nemmeno
l’odore, di quando mi sembra di sentire il vuoto e di quando mi lascia vuoto.
Un vuoto costruito ad arte fuggendo e rifuggendo ogni sentore di
rapporto che possa dirsi tale, ricordando la paura provata l’ultima
volta che qualcuno mi ha detto “ti amo”, mentre facevamo l’amore e io cercavo di non guardarla e tacevo. Solo le passavo la mano sulle labbra e pensavo:

“Cazzo , come sprechi il tuo amore …io proprio no”.

E quando sento la porta che si chiude dietro di lei ciò che rimane è un numero di telefono, che probabilmente non chiamerò e quella sensazione di vuoto collegata a quel gusto un po’ amaro e il pensiero che non è così che si costruisce un amore ma solo un pozzo di vuoto.

Dove sono?

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