Sahara 3

giugno 29, 2012 § 23 commenti

Dal Sahara al Tènèrè

Mi trovo ad Hassi Messaud , un centro di estrazione del metano , 1200 km dalla costa e ben all’interno nel deserto del Sahara. Qui non esiste nessuna oasi ma soltanto un agglomerato di basi delle varie compagnie straniere impegnate con gli algerini nello sfruttamento delle loro risorse naturali. Il nostro campo è abbastanza confortevole, anche se dopo qualche tempo la routine ti logora e senti il bisogno di comunicare , di vedere movimento, di gente …folla. Il villaggio è composto da una serie di baracche realizzate sovrapponendo dei barili da 200 lt e riempendoli di sabbia per dargli stabilità, il tutto ha un aspetto squallido, soltanto una tenda, abitata da un tuareg,  ricorda  questo popolo fiero. Quest’uomo, completamente vestito di nero, mi aveva incuriosito nei giorni precedenti ed avevo pensato alla sua vita trascorsa in terre così poco ospitali e alle sue traversate per raggiungere oasi lontane. Una sera, mentre passeggiavo poco distante dal campo, mi ha avvicinato e con la scusa di chiedermi una sigaretta si è messo a parlare, come se avesse voglia di comunicare qualcosa al mondo.  Mi ha parlato del deserto, dei suoi dromedari, delle notti fredde e delle sue donne dolci come il miele, poi ad un tratto si è zittito ..come se avesse avuto l’impressione di aver detto troppo  e si è allontanato nell’imbrunire stagliandosi nello skyline delle dune…..un uomo solo. Mi comunicano che devo fare un intervento ad Agadés , un migliaio di km più a Sud. Il pensiero di questa traversata , se da una parte mi stimola , dall’altra mi da una leggera ansia  di precarietà, i preparativi mi distolgono da questi pensieri. Si parte e si lasciano indietro i pensieri e le preoccupazioni ; una leggera euforia mi pervade e la mente corre alla meta così lontana ed a quello che il viaggio offrirà. Dopo un lungo colloquio informativo con la guida , decido di prendere l’aereo per il tragitto fino ad Agadés e una volta terminato il lavoro fare una escursione con il fuoristrada attraverso il  Ténéré ,il mitico deserto. La fantasia scioglie le briglie e galoppa sulle dune.  Agadés è una città carovaniera e di mercato e, seppur decaduta e modernizzata, conserva ancora l’impronta di capitale del sultanato tuareg dei Kel Air ricordandoci che oggi non tutto il Sahara è asfalto e omologazione. In Agadés i mastri orafi tramandano le tradizioni d’appartenenza tribale forgiando i classici gioielli a croce, dalle forme più svariate, che tutto hanno tranne che un simbolismo cristiano. Agadés è, soprattutto, il punto di riferimento per quanti si apprestano ad attraversare il deserto. Lo è tanto per noi, alla ricerca dell’emozione di una traversata che, pur col supporto dei fuoristrada, ha ancora il sapore dell’avventura, quanto per chi ancora continua caparbiamente ad attraversare il Ténéré a dorso di cammello, per mestiere e antichissima consuetudine, conducendo grandi carovane di dromedari pezzati capaci di sopportare ciascuno un carico che può raggiungere il quintale. Sono le ultime carovane del sale, chiamate in Mali “Azalai” e in Niger “Tarlamt”, in grado di percorrere sino a 40 km al giorno. In poche settimane coprono la distanza tra le oasi del Kaouar e Agadés, con una lunga e faticosa marcia che inizia all’alba e termina ben oltre il tramonto. Nessuna sosta, tranne quella per le cinque preghiere giornaliere. Un mese duro ed estenuante, trascorso cavalcando i dromedari e riposando accovacciati in equilibrio sulle cavalcature per recuperare le forze. Un’avventura al limite della resistenza umana che presuppone grande familiarità con il severo ambiente del deserto unita a notevole resistenza fisica. Il Madugu è il capo carovana. In prima fila, lo sguardo fisso in avanti a scrutare l’invisibile pista. Il commercio triangolare dei prodotti agricoli dell’Air in cambio di datteri e sale, sopravvive verso oriente, in direzione del Ténéré, sostenuto dagli infaticabili Kel Ouei, una tribù di tuareg dell’Air da sempre dedita agli scambi in partecipazione con i Kel Gress, allevatori originari del sud, proprietari degli animali. Gli Azalai, parola tamascek che vuol dire separazione, compaiono nel deserto come fantasmi dal passato e sembrano dirigersi verso il nulla, scomparendo tra i cordoni di basse dune parallele che si susseguono come onde, confondendosi in lontananza nella foschia dell’harmattan. Ci hanno regalato la nostalgia d’un incontro irripetibile tra epoche lontane e inconciliabili. Sostiamo presso una piccola oasi con un Hassi (pozzo) e qui sotto un boschetto di palme c’è, disposta su un letto di sabbia, una esposizione di minerali recuperati nel deserto. Ci sono delle rose del deserto spettacolari di tutte le dimensioni . Forme contorte , elaborate, alcune più spesse , altre delicate come trine, mi sto perdendo nell’ammirare queste forme quando da sotto una specie di tenda improvvisata esce un bimbo ,bardato con alcuni stracci e con l’immancabile copricapo attorcigliato. Mi guarda curioso con due occhi neri e profondi e dal naso gli pende uno spettacolare moccio. Mi si avvicina, mi prende per mano e mi mostra i pezzi più belli in esposizione, sempre senza parlare mi evidenzia i particolari, poi soddisfatto della sua tecnica fa cadere la mia attenzione sulle sue calzature che mi mostra alzando un piede verso di me. Scarpe particolari , probabilmente nuove , di pelle di cammello , fatte a mano. Io gli faccio qualche complimento in francese, lui si passa l’avambraccio sul moccio , spalmandoselo su tutta la faccia. Guardando la sua espressione scoppio a ridere , lui rimane un attimo perplesso poi il sorriso illumina il suo volto. A quel punto arriva un uomo che evidentemente era il padre e mi invita ad effettuare qualche acquisto. Dopo una lunga trattativa, ritorno al mio fuoristrada accompagnato dal bimbo al quale regaliamo un pacco di biscotti. Dopo la mia partenza il mio pensiero si è soffermato sulle condizioni di vita in queste aree così inospitali ma che comunque lasciano spazi per diversi modi di concepire la vita.  Proseguiamo oltre l’oasi di Fachi con le sue saline. Motivi di sicurezza ci hanno indotto a non imboccare la pista che da Bilma porta a Djado e poi a Djanet, ma di ripiegare a nord in direzione della falesia d’Achegour e dell’Adrar Madet. Scelta felice, perché la parte orientale dell’Air cela la Riserva Naturale Nazionale dell’Air e del Ténéré, nota anche come Santuario degli Addax, uno degli angoli più affascinanti del deserto. Qui l’erosione, dovuta dagli sbalzi termici e dal tempo, ha modellato le estese rocce affioranti dal mare di sabbia formando sagome bizzarre, giganteschi archi naturali, picchi, guglie e torrioni che affiorano tra le dune dorate, nell’erg infinito. Tetri pinnacoli rocciosi si alzano da basse depressioni piatte di sabbia e ciottoli. Il basalto nero dell’Air si frantuma in creste seghettate e pinnacoli, guglie e organi di pietra che delimitano pianure desolate dove è sufficiente chiudere gli occhi per immaginare, confuso al brusio del vento, l’eco della corsa dei mastodonti delle ere passate. Qui il pensiero corre ad immaginare epoche lontane e rimbomba di battaglie , clangori di lame che si scontrano per il predominio tribale, e si spinge ancora più in là nel tempo, quando forse questa area era abitata da popoli primitivi.  I siti d’arte rupestre danno solo un’idea di come il clima fosse diverso e di come fosse più vivibile l’intera area oggi occupata dal deserto del Ténéré. Reperti d’ossa di dinosauro, vissuti milioni d’anni fa in delta di fiumi oggi fossili, sono visibili nelle località di Gadufaua e Ingal. Le dune rosa e quelle dorate si contendono Arakao, una formazione semicircolare di colline rocciose invasa dalle sabbie la cui forma ricorda le chele di un granchio. Le sabbie colorate di Arakao fanno da preludio alle barcane alte come colline di Temet, dune di 300 metri, le più grandi del Sahara. Per arrivarci abbiamo attraversato le Montagne Blu, rupi di marmo traslucido e levigato che emergono dalle sabbie come ossa d’animali morti, solcati da venature d’azzurro che paiono riflettere i cieli di turchese. Il deserto , stranamente ti riempie l’anima con i suoi spazi che sembrano senza fine, e quando la sua monotonia è rotta dall’apparizione di formazioni naturali la loro spettacolarità ti lascia senza fiato. Quando ritorni alla civiltà, la mancanza del deserto si fa sentire intensamente , forse perché nel deserto hai il tempo per stare intimamente con te stesso. Il sogno di un tramonto sul deserto con ledune infuocate ti accompagna nelle giornate uggiose scaldandoti il cuore

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